Vittorio Bachelet, uomo di Fede e di Stato

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Quarant’anni fa, il 12 febbraio 1980, il giurista cattolico veniva assassinato dalle Brigate Rosse all’interno dell’Università La Sapienza di Roma

di Nuccio Guaita

Quarant’anni or sono, il 12 febbraio 1980, all’interno dell’Università La Sapienza di Roma, suo posto di lavoro, veniva assassinato dalle Brigate rosse, con ripetuti colpi di pistola, Vittorio Bachelet. Due anni prima le Brigate rosse, dopo avergli inflitto una lunga prigionia, avevano assassinato, allo stesso modo, Aldo Moro. Due figure luminose del cattolicesimo italiano, impegnate, in assoluta coerenza alla propria Fede, nella cultura e nelle sedi alte della Politica e delle Istituzioni della nostra Repubblica. È lecito chiederci la motivazione di questi due ravvicinati delitti. Ai politici le valutazioni di loro competenza. Ai cristiani è un segno ammonitore per impegnarsi a capire il ruolo della testimonianza cristiana nella società. Bachelet è stato innanzitutto e durante tutta la sua vita un uomo di Fede. Nato a Roma il 20 febbraio 1926, fin da bambino in Azione Cattolica; nel 1947 alla Fuci è condirettore di Ricerca, movimento culturale che coltiva, dal 1925 al 1933, gli stimoli di fede e cultura dell’Assistente ecclesiastico, msg. Montini, futuro Papa Paolo VI. Vive l’esperienza del cattolico “organizzato”, cioè “impegnato”; siamo agli ultimi anni di guerra, del crollo del fascismo e l’avvio della Ricostruzione in cui si inserirà autorevolmente nella rappresentanza socio-politica dei cattolici italiani. “Abbiamo bisogno – dice Bachelet – come Chiesa e come Italia, di uomini preparati e capaci, intelligenti e buoni; dobbiamo educare ad un cristianesimo, ad una società capace di offrire soluzioni”. Giovanni XXIII lo nomina Vice presidente generale dell’Azione Cattolica (1959); nel 1964 Papa Montini lo nomina Presidente generale della stessa e tale resta fino al 1973. Nasce nell’Azione Cattolica il seme della “scelta religiosa” per riscoprire la centralità dell’annuncio di Cristo che riprenderà autorevolmente l’attuale presidente, Truffelli. Bachelet in varie Università è Docente di Diritto amministrativo e Istituzioni di diritto pubblico, discipline che, fondate sulla Costituzione, avviano la ricerca politica verso una società libera e pluralista nell’equilibrio tra Autorità e Libertà. Nel 1976 diventa consigliere comunale di Roma, con la DC; viene maturando il “compromesso storico”. Nello stesso anno il Parlamento lo elegge Vice presidente del Consiglio superiore della Magistratura. Quivi esercita azione dottrinaria e sociopolitica per il dialogo fra le diverse posizioni ideali e politiche. Una mediazione culturale e politica finalizzata alla costruzione di una società civile e libera. Nel maggio ’78 viene ucciso Aldo Moro, suo amico da sempre. La reazione politica al delitto Moro per una severa legislazione d’emergenza, non sposta le sue scelte di fondo. In sede politica e di Consiglio superiore della Magistratura, riafferma una legislazione sociale, libera e pacificatrice, fatte salve le esigenze di giustizia dell’azione propria della Magistratura. Il funerale di Bachelet, a Roma, rivela il suo essere esemplarmente uomo di Fede e di Stato. “Preghiamo per i nostri governanti, il Presidente Pertini, per Cossiga, per tutti i giudici, le forze dell’ordine. Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà – dice alla Messa funebre il figlio Giovanni – perché, senza nulla togliere al corso della giustizia, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte per gli altri”. L’insegnamento di Vittorio Bachelet è, nella sua pienezza, nelle parole di Giovanni, pronunciate nella Preghiera dei fedeli, durante la Celebrazione eucaristica della comunità credente.

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