Il fiore misterioso de Sa Corti de Su Estiu

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Un tratto del muro di Sa Cotti de Su Estiu (foto Stefano Atzeni)

Fluminimaggiore. Le antiche leggende su un millenario sito archeologico ancora poco indagato

di Federico Matta

Il crescere rigoglioso della vegetazione sta ormai cancellando quel grande spazio circondato dalle mura ciclopiche, presumibilmente innalzate dall’uomo oltre 3 mila anni fa. Tutto sommato, però, de Sa Corti de Su Estiu qualche traccia è ancora possibile ammirarla. Il sito archeologico si trova nel territorio di Fluminimaggiore, a ridosso dell’alta falesia denominata Corona Arrubia. Per chi non lo conoscesse, quel posto è facilmente raggiungibile percorrendo la vecchia mulattiera mineraria, che partendo dalla valle di Antas, arriva sino alla miniera di Su Pranu de S’Uvara, nell’estremità della collina che sovrasta l’area archeologica del tempio punico-romano. Della “corte del demonio” (traducendo il nome dal sardo all’italiano), si sa veramente poco. Mai nessun archeologo ha eseguito uno studio, magari attraverso un’indagine stratigrafica nella parte superficiale del terreno. È certo, però, che non si tratta di una “moderna” corte dove i pastori o i caprai, mungevano le loro greggi. Il luogo, alquanto impervio e la scarsità di rigogliosi pascoli, oltre che di fonti d’acqua (inesistenti), avrebbero impedito in passato il sorgere di qualsiasi insediamento rurale. L’accesso al sito, poi, stretto pochi metri, è delimitato, da un lato da una profonda voragine e dall’altro da una scarpata. Così come il resto della struttura semicircolare, aperta sul dirupo nel tacco calcareo. Tutto fa pensare a un luogo di culto risalente al Pre-Nuragico. Come nel caso del circolo megalitico di Monte Baranta a Olmedo, datato tra il 2500 e il 2200 a. C., e più precisamente al periodo della così detta Cultura di “Monte Claro”. Ma se in quest’ultimo caso, tutto è confermato da numerosi studi e da diverse campagne di scavi, per quanto riguarda Sa Corti de Su Estiu abbiamo solamente antiche leggende e uno scritto risalente alla prima metà del 1800. Ne dà, infatti, una descrizione l’abate e storico italiano Goffredo Casalis, nel suo Dizionario geografico, storico, statistico e commerciale degli stati di Sua Maestà il Re di Sardegna. “Si conoscono sei norachi – scriveva il Casalis descrivendo le antichità del Fluminese – e sono in Fighezzia, in Conca Muscioni, in S. Lucia, in Bega, in Sa Calcina, e quello che è conosciuto generalmente col nome di Su Corrazzu dessu Estiu, grande così che il suo circuito non si misuri in più di cento passi ordinarii e costrutto di enormi sassi con il muro a una parte alto circa 30 palmi, all’altra la metà. Dentro e d’intorno vi è un grande ingombro di rovine. Tenendosi da quei semplici che ivi abiti un angelo cattivo molti temono avvicinarvisi, e solamente i più coraggiosi che ardiscono portarvisi per ricercare nel settembre non so che fiore meraviglioso e di prodigiosa virtù in favore di chi lo tolga. Ma quanti vi sono andati faticarono invano, perché lo spirito del luogo lo nasconde. È questo luogo e questo spirito un soggetto di racconti mirabili à fluminesi, e parla indarno chi li vuol dissuadere”. Il sito archeologico meriterebbe un attento studio da parte degli esperti, oltre a un’opera di conservazione dei pochi resti rimasti. Una sua valorizzazione salvaguarderebbe anche la memoria storica delle ingenue leggende del passato.


Pubblicato su “Sulcis Iglesiente Oggi”, numero 15 del 21 aprile 2019

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