
Di fronte ai rincari legati a speculazioni, aumenti dei costi energetici e guerra, l’importanza di adottare un attivo stile sostenibile
di Annalisa Atzei
Esattamente due anni fa, il 9 marzo 2020, l’allora premier Giuseppe Conte annunciava al Paese l’inizio ufficiale dell’emergenza pandemica con annesso e immediato inizio del primo lockdown generale. Una notizia tanto attesa quanto temuta dagli italiani. La prima reazione fu quella di pensare alla propria sopravvivenza: era necessario barricarsi in casa, non vedere nessuno per un tempo indefinito e per questo avere quante più scorte possibili nella dispensa per non darla vinta al virus. La corsa ai supermercati per accaparrarsi le ultime provviste sugli scaffali, già presi d’assalto da qualche giorno, fu la prima evidente conseguenza di una paura che stava ormai contagiando anche i più ottimisti. “Certe scene non si vedevano neanche in tempo di guerra”. I più anziani dicevano così e oggi fa impressione ripensare a certe frasi pronunciate nella convinzione che la guerra non ci avrebbe mai più interessati da vicino. Dopo quell’annuncio, ne sono arrivati tanti altri; la buona volontà di Conte è stata sostituita dall’esperienza di Draghi e a colpi di “andrà tutto bene”, vaccini sì-vaccini no, dad e smart working ci siamo ritrovati all’inizio del 2022, finalmente pronti per annunciare che lo stato di emergenza si sarebbe concluso il 31 marzo di quest’anno e che la pandemia avrebbe iniziato a far parte dei nostri ricordi.
Quanto accaduto non poteva non avere ripercussioni sullo stato di salute, oltre che dei cittadini, dell’economia nazionale. La pandemia ha, infatti, accelerato un processo di ricostruzione in atto ma ancora troppo lento: si parlava di transizione ecologica, di fonti alternative rinnovabili, di Agenda 2030, ma si era ancora piuttosto lontani dagli obiettivi prefissati. Oggi non c’è più tempo per troppe riflessioni, lo scenario è ulteriormente cambiato nel giro di pochi giorni e attardarsi significherebbe vedere sfumare alcune occasioni fondamentali per la ripresa economica e sociale del Paese. Oltre il conflitto alle porte dell’Unione Europea, di cui purtroppo è impossibile prevedere gli sviluppi, esiste un’evidenza monetaria su cui riflettere: i prezzi dopo il Covid sono aumentati, alcuni meno, altri in misura maggiore, ma in generale la curva è destinata a crescere, ancora di più adesso con il conflitto tra la Russia e l’Ucraina.
Se a inizio anno la preoccupazione era prevalentemente per il caro bollette, oggi tutto sta subendo rincari fortissimi. È di questi giorni la protesta per il caro carburante, con prezzi saliti alle stelle e lunghe file ai distributori per il paventato sciopero annunciato dai trasportatori in alcune regioni. In particolare, in Sardegna, la paura che realmente il blocco dei trasporti potesse paralizzare i rifornimenti ha trovato riscontro in un messaggio che registrava lo sfogo legittimo di un auto traportatore preoccupato; messaggio che, rimbalzando di chat in chat, ha convinto migliaia di persone a saccheggiare di nuovo i supermercati, stavolta per la paura che non si trovassero più provviste nelle prossime settimane. L’emergenza mentre scriviamo sembrerebbe rientrata, nell’Isola non ci sarà nessuno sciopero, tra l’altro vietato dalla Commissione di garanzia, ma una manifestazione di protesta a cui gli autotrasportatori potranno scegliere liberamente se aderire, nulla che comunque possa al momento mettere a rischio le forniture di generi alimentari, farmaci e carburante. I prezzi, purtroppo, continueranno a salire e sicuramente la Sardegna sarà tra le regioni a pagare il prezzo tra i più alti in Italia per via dell’ulteriore passaggio di trasporto marittimo e per il trasporto locale quasi esclusivamente su gomma, i quali incidono in forte misura sul prezzo finale delle merci.
Dall’altra parte si prevedono grossi rincari per via del blocco delle importazioni dall’Ucraina. Dall’edilizia all’allevamento, senza considerare per un attimo la questione delle forniture energetiche, ogni filiera produttiva subirà un rallentamento con un aggravio dei costi che inevitabilmente andrà a riversarsi sul consumatore finale, cioè noi quando andremo a fare la spesa o il rifornimento al distributore o quando riceveremo le bollette. Due anni fa riempivamo i carrelli per la paura del coronavirus, oggi abbiamo paura di una guerra che sentiamo sempre più vicina e delle conseguenze che direttamente o indirettamente essa avrà sulle nostre vite. Le scelte politiche non spettano ai singoli cittadini, ma ognuno è chiamato a fare la sua parte. Essere consumatori responsabili, più attenti agli sprechi e più responsabili negli acquisti, può essere un primo contributo che sommato a quello di tutti gli altri genera il cambiamento.
La nuova emergenza di cui siamo testimoni deve farci riflettere ma soprattutto agire. Forse è arrivato davvero il momento in cui trasformare le parole spese in passato in azioni concrete, come cittadini e come protagonisti anche delle nostre comunità cristiane. Ripensiamo per esempio alla programmazione dei lavori della recente Settimana Sociale tenutasi a Taranto sui temi della transizione ecologica e della sostenibilità ambientale e alla sempre attualissima enciclica Laudato Si’ di papa Francesco: tutti siamo chiamati a essere non più spettatori impotenti di quanto accade, ma sentinelle attive e generative del mondo che abitiamo.