Pazienti tessitori, artigiani di Pace

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La capacità della fraternità di essere più forte dell’odio, i “piccoli” fruttosi passi della missione del cardinale Zuppi in Russia

di Giampaolo Atzei

Foto Patriarcato di Mosca – SIR

Camminando per le nostre campagne, che siano ruderi diroccati o piccoli luoghi di culto dove ancora si celebra l’annuale festa campestre, è facile imbattersi in vecchie chiese, qualcuna col suo valore d’arte e di storia, altre ben più semplici di fattura. Spesso si tratta delle ultime sopravvivenze di antichi villaggi abbandonati e scomparsi, di cui rimane appena la memoria nei nomi dei luoghi. Erano semplici agglomerati di case, quasi mille anni fa, testimoni di una relazione profonda tra la terra e i suoi abitanti. Poi sono arrivate le pestilenze, le carestie, la crisi, ma soprattutto arrivò la guerra, quasi un secolo di guerra che iniziò settecento anni esatti in questo territorio e per quasi un secolo devastò la Sardegna, lacerandola, cancellando la vita dalle sue campagne, abbandonate, spopolate e percorse da eserciti in armi, uomini e donne rifugiati nei castelli e nei borghi fortificati, sino alla disfatta di Sanluri, la resa dei sardi agli aragonesi del 1409, il massacro finale nelle campagne del Campidano che ancora conservano nel nome l’eco di quella tragedia: S’Occidroxiu, il macello da cui nessuno uscì vivo.
Perché ricordare oggi questi avvenimenti? Perché la storia ci è maestra, nel ricordare i drammi passati e nel tenere viva la speranza in tempi di guerra e scossi da ancestrali paure come questi. La guerra non ci è estranea ma nemmeno la pace. Allora come oggi, le guerre sono motivate da interessi ben più profondi e materiali che non le solite e pretestuose giustificazioni formali. E così, esattamente settecento anni fa esatti, non fu un caso che lo sguardo degli invasori nel 1323 si rivolse sa principio a questa terra di miniere, argento e metallo, uno scrigno su cui presto mettere le mani all’inizio della conquista aragonese della Sardegna. Da allora, per quattrocento anni, la nostra Isola è entrata nella storia e nelle istituzioni di quella che è poi divenuta la Corona di Spagna, partecipando della cultura iberica in una contaminazione che dura tutt’oggi, basti pensare alle rappresentazioni della Settimana Santa, al culto della Madonna di Montserrat, la Regina del Sulcis venerata da Tratalias a Iglesias che si lega alla devozione mariana nel monastero vicino a Barcellona, oppure la Vergine del Pilar a Villamassargia, culto mariano di Saragozza che sostituì la precedente dedicazione a San Ranieri, il patrono dei pisani padroni del Cixerri a cavallo tra Duecento e Trecento. E nessuno pensa più ai tempi passati e lontani con sentimenti di vendetta e rivincita, se non invece di fraternità e condivisione, anche se quell’invasione lontana di una terra libera, giustificata a vario modo ma pur sempre arbitraria, non sembra troppo diversa dalle successive conquiste coloniali e le più recenti invasioni che sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti.
Sono questi i tempi lunghi della storia, come abbiamo ben visto dopo la seconda guerra mondiale, quando i nemici – anche nella riscoperta dell’essere uniti in Cristo – riscoprono sconvolti la propria fraternità e il dono della pace e del perdono germoglia dopo anni di odio e dolore, capaci addirittura di fondare un’Unione Europea tra popoli che si erano combattuti con una violenza mai vista. È terribile pensare queste cose mentre il sangue scorre nell’est dell’Europa, in special modo tra Ucraina e Russia senza dimenticare i tanti conflitti silenziosi in altre parti dimenticate del mondo, quando addirittura si teme l’apocalisse nucleare. Eppure, senza la consapevolezza della forza e della bellezza della ricerca della pace, animati da questa profonda speranza che si radica nella millenaria esperienza dell’umanità, anche la missione del Cardinale Zuppi in Ucraina e Russia, inviato da Papa Francesco, sarebbe potuta sembrare una inutile e avventata operazione. Le guerre finiscono e non lasciano mai il mondo migliore di come l’hanno trovato, ha ammonito Marco Tarquinio qualche mese fa qui a Iglesias. Alla fine, se non per convinzione ma perché vinti dalla stanchezza, arriva sempre il tempo della tregua, la consapevolezza che è meglio abbattere i muri e ricostruire i ponti.
Ecco allora che, con lo sguardo nel lungo periodo della storia, l’opera del card. Zuppi e la paziente diplomazia pontificia si leggono come il segno di una tessitura che procede, il paziente lavoro di un artigiano della pace.
Chi è sul posto, come mons. Paolo Pezzi, arcivescovo di Mosca e presidente dei vescovi cattolici della Federazione russa, commenta che “la missione del card. Zuppi è andata bene, senza trionfalismi ma positiva, i passi importanti sono stati innanzitutto l’apertura dimostrata sia a livello politico che religioso e la disponibilità a continuare un cammino”. Il presidente della Cei, dal 28 al 30 giugno in Russia dopo la visita in Ucraina all’inizio del mese, ha avuto modo di incontrare l’assistente del presidente russo Yuri Ushakov, il patriarca di Mosca Kirill e la commissaria per i Diritti dei bambini, Maria Llova Belova. “Di fronte alle oggettive difficoltà di questo tempo, dobbiamo capire cosa ci chiede il Signore. E siamo molto contenti oggi di potervi ascoltare e risolvere i problemi esistenti” ha detto il Patriarca di Mosca Kirill al card. Zuppi, aggiungendo di “usare tutti i mezzi per porre fine a questo terribile conflitto il prima possibile, in modo che ci siano meno vittime possibili”.
Che i cristiani possano essere le fondamenta per una pace giusta e stabile in Ucraina è l’auspicio di Papa Francesco espresso nuovamente venerdì scorso, ricevendo in Vaticano la delegazione ecumenica del Patriarcato di Costantinopoli. Serve una pace creativa, ha commentato ancora l’arcivescovo di Mosca, ricordando che parlare di pace creativa “vuol dire che ciascun credente deve chiedersi in coscienza che cosa personalmente può fare perché ci sia la pace anche se non vive in un contesto così vicino a quello che viviamo noi”. E la Chiesa prega. San Giovanni Paolo II diceva: “Quando i potenti si scontrano e nasce un conflitto, la Chiesa deve pregare”. Non si trovano soluzioni a buon mercato per la pace, intanto però si costruiscono pazientemente le condizioni per essa. Perché la pace si può costruire sempre, quanti la vivono ne sono testimoni, nella Storia.