Quando la Sardegna ospitava le spoglie di Sant’Agostino

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La storia nell’isola delle reliquie del “Dottore della Chiesa”, dal dibattuto arrivo nel capoluogo alla traslazione a Pavia nel 700

di Mario Girau

I sardi guardano con benevola invidia i festeggiamenti in corso a Pavia per celebrare il 13° centenario della traslazione delle spoglie di Sant’Agostino da Cagliari alla città sulle rive del Ticino. Per oltre 200 anni (secoli VI, VII e primi decenni dell’ottavo) le hanno avute in casa, nel capoluogo, conservate in una antica chiesa/cappella costruita nel cuore del centro storico. Un tempo in cui il controllo della situazione solo nominalmente era nelle mani dei Bizantini, di fatto nelle capacità piratesche degli Arabi. Per i Sardi non solo devastazioni e morti, ma anche l’affronto di vedersi scippare il corpo di un campione della Chiesa universale con un’operazione di “compravendita” piuttosto costosa – “magno pretio” – avvenuta tra il 721 e il 725 tra un compratore, Liutprando re dei Longobardi, e un venditore: gli arabi. Il primo spinto dalle ragioni della fede, ma anche per aggiungere una voce prestigiosa alla rinascenza liutprandea di cui fu autore nel regno e nella capitale Pavia. I secondi per capitalizzare in moneta sonante un bene non appartenente alla loro tradizione religiosa.
Dibattuti sono i tempi di arrivo delle spoglie di Sant’Agostino. Trasamondo, re dei Vandali dal 439 d.C. padroni dell’Africa settentrionale, intorno al 507-508 relega in Sardegna (conquistata verso la metà del V secolo), un centinaio di vescovi (qualche storico dice addirittura il doppio), che si oppongono al processo di “arianizzazione” del territorio avviato dai Vandali, cristiani che seguivano però l’eresia di Ario, secondo la cui dottrina, che pur confermava la fede nella Trinità, il Figlio di Dio partecipa della natura di Dio Padre in modo inferiore e derivato. Tra gli esiliati vi era anche il vescovo Fulgenzio di Ruspe, leader e coordinatore di questa comunità ecclesiastica in forzata “trasferta” come anche dei vescovi rimasti in Africa con i quali intrattiene una fitta corrispondenza epistolare. Una presenza non solo religiosa, ma di notevole valore culturale per la Sardegna e per tutta la Chiesa. Fulgenzio, infatti, dopo un primo periodo vissuto probabilmente nel centro della città, in situazione logistica inadeguata, chiede all’arcivescovo cagliaritano Brumasio di poter costruire, a proprie spese, un monastero lontano dal chiasso cittadino, in prossimità della basilica di san Saturnino. In questa nuova sede sorge un vero e proprio centro di studio con “Scriptorium” per la copiatura e riproduzione di manoscritti da inserire nei circuiti culturali del tempo. Un cenobio prima cellula della tradizione agostiniana in Sardegna, oggi molto viva soprattutto ad Abbasanta, Alghero, Belvì, Castelsardo, Muravera, Nurachi, Elini, Pauli Arbarei, Sindia, oltre che a Cagliari.
Tra gli esiliati anche il vescovo di Ippona, l’odierna Annaba in Algeria, che nel lasciare la città porta con sé le spoglie di sant’Agostino, conservate nella cattedrale di santo Stefano, per non lasciarle alla mercè dei Vandali, non particolarmente teneri nei confronti dei cattolici, come risulta dalle testimonianze riportate da numerosi scrittori, compreso il futuro papa Gregorio Magno (590-604). Nessun documento conferma la traslazione delle spoglie di Agostino a Cagliari. Soprattutto nessun riferimento alle reliquie nella biografia di Fulgenzio scritta dal diacono Ferrando.
Silenzio sull’arrivo, ma non sulla partenza delle spoglie del “dottore della Chiesa” dal capoluogo in direzione Pavia. Una notizia storicamente attendibile del benedettino inglese, Beda il Venerabile, riportata nel suo Cronicon e martirologio tra il 721 e il 725: «Avendo saputo il re Liutprando che i Saraceni, dopo aver saccheggiato la Sardegna, minacciavano di profanare anche i luoghi dove, a motivo delle distruzioni provocate dai barbari, erano state in precedenza trasportate e onorevolmente sepolte le ossa di sant’Agostino, dette ordine che venissero riscattate ad alto prezzo e trasportate a Pavia dove furono sepolte con l’onore dovuto a cotanto padre» ( traduzione R. Turtas).
La discussione tra gli storici si è incentrata sui tempi della devastazione africana: se molto lontana, la traslazione delle spoglie agostiniane nell’isola deve attribuirsi ai vescovi esiliati nel 507-508; se più vicina è da riferirsi ai profughi africani in Sardegna dopo la conquista di Cartagine da parte dei musulmani nel 697-698: in questo caso le spoglie di Agostino sarebbero state ferme nell’Isola soltanto pochi decenni prima della traslazione in riva al Ticino.
«Contro la marea araba – ha scritto Enrico Besta – non v’era argine che tenesse». Se ne rende conto la Sardegna periodicamente sottoposta ad attacchi e devastazioni. Particolarmente pesante la scorreria del 711 – la cui eco arriva fino all’Inghilterra e a Beda il venerabile – che impressiona grandemente il sovrano longobardo appena salito sul trono (712-744). Liutprando, infatti, invierà in Sardegna suoi ambasciatori per riscattare le ossa di Sant’Agostino, profumatamente pagate, pare, agli Arabi, non ai Bizantini o ai Sardi come sostenuto da qualche studioso. Le spoglie (225 pezzi ossei secondo una ricognizione fatta nel 1884) tra il 721 e il 725 vengono trionfalmente portate a Pavia – non si sa se direttamente da Cagliari, o dopo aver attraversato tutta l’Isola – e deposte in un reliquiario, l’arca di sant’Agostino, nella basilica di San Pietro in Ciel d’Oro.
La Sardegna deve accontentarsi delle cosiddette reliquie minori, ovvero alcune vesti: una tunicella, una dalmatica e una cappa in lino, oro e argento, con innesti serici sembra provenienti dalla Cina e ascrivibili all’epoca Tang. Sono custodite nel museo della cattedrale di Cagliari.

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Pubblicato su “Sulcis Iglesiente Oggi”, numero 11 del 26 marzo 2023