“Quartet”, il sorriso malinconico della terza età

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CEDAC. Quattro interpreti di culto come Giuseppe Pambieri, Cochi Ponzoni e Paola Quattrini ed Erica Blanc, diretti da Patrick Rossi Gastaldi al Centrale di Carbonia

di Jacopo Casula

Nella malinconica cornice di una casa di riposo per artisti anziani, quattro solitudini si incontrano, scegliendo di vivere insieme un’ultima giornata di gloria sul palcoscenico.
Ronald Harwood, scrittore e drammaturgo inglese, celebre per aver sceneggiato film di fama internazionale come “Il Servo di scena” e per aver vinto il premio Oscar con l’altrettanto celebre “Il Pianista”, ha dedicato alla terza età “Quartet”, un’opera tenera e sottilmente amara, in scena sabato 1° febbraio al Teatro Centrale di Carbonia, nel terzo appuntamento della rassegna 2019/2020 curata dal CEDAC Sardegna. Una piece teatrale diventata in questi anni un piccolo classico della prosa moderna, grazie alla riuscita alternanza tra sorrisi e momenti di commozione, che hanno spinto un attore come Dustin Hoffman a sceglierla per il suo esordio nella regia, alla veneranda età di 75 anni.
In questo adattamento italiano, il regista Patrick Rossi Gastaldi dirige sul palcoscenico quattro interpreti di culto come Giuseppe Pambieri, Cochi Ponzoni, Paola Quattrini ed Erica Blanc, un quartetto di attori affiatati che rappresentano il valore aggiunto di un testo teatrale allo stesso tempo semplice e complesso, nel quale la parola sostituisce l’azione, rappresentando sia il punto di forza che il principale elemento di debolezza.
Nella claustrofobica scenografia di un ospizio che, con le sue alte cancellate, sembra quasi un’emblematica prigione, l’ex tenore Rudy passa le giornate scrivendo interminabili testi di approfondimento sull’opera di Richard Wagner, la soprano Cecilia ascolta le sue vecchie interpretazioni sul walkman, mentre il baritono Titta, il più estroverso, sproloquia fantasticando improbabili seduzioni nei confronti della compagna di ospizio. I loro colloqui avvengono in un cortile che rappresenta l’unico spazio di evasione di una casa di riposo popolata da tiranniche direttrici e antipatiche infermiere, evocate solo attraverso il racconto e specchio di tutte le persone che ruotano attorno alla solitudine di un gruppo di interpreti abituati ai trionfi sul palcoscenico e costretti a venire a patti con la solitudine, il decadimento fisico, gli acciacchi dell’età e l’inevitabile oblio. A dare la scossa ad una vita fatta di giornate sempre uguali, è l’arrivo di Giulia, altra cantante lirica sul viale del tramonto, con cui Rudy era stato sposato per soli nove giorni, prima di lasciarsi senza apparente motivo. Il suo arrivo inaspettato darà nuovo impulso alla preparazione dell’annuale spettacolo in onore di Giuseppe Verdi, un momento in cui il quartetto di vecchie glorie della lirica cercherà un’ultima parentesi di gloria, tra ricordi del passato e timori per il futuro. Una conclusione catartica, che chiude col sorriso un’opera molto dialogata e più vicina al mondo teatrale anglosassone che alla prosa italiana.
Tra momenti di intimismo e delicate riflessioni, la malinconia viene spezzata dalle divertenti divagazioni dell’esilarante follia di Cecilia, che ripete in continuazione un tormentone legato ai suoi ricordi di Addis Abeba, dalle maniacali attenzioni di Titta, sempre pronto a millantare improbabili seduzioni presenti unicamente  nella sua immaginazione, e dagli scatti d’ira di Rudy, che abbandona il suo proverbiale aplomb per inveire contro le infermiere, colpevoli di privarlo dell’adorata cotognata servita a colazione.
Nonostante queste simpatiche parentesi umoristiche, in alcuni passaggi il testo si perde in lungaggini che appesantiscono l’armonia narrativa, a cui avrebbero giovato invece una maggiore agilità, soprattutto all’inizio del secondo atto, dove alcune situazioni ripetitive e prolisse portano l’opera diretta da Rossi Gastaldi ad avvitarsi su se stessa.
Resta l’ottima interpretazione di quattro leoni del palcoscenico, in grado di superare, grazie al talento, anche i momenti di stanca, il cui affiatamento personale rappresenta il punto di forza di un testo capace di divertire e di far riflettere, nonostante qualche momento di appannamento che rallenta la narrazione.

 

 

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