
Il ruolo della donna. Nel 2022 in Sardegna il tasso di occupazione femminile era al 46,5% con 238 mila occupate
di Annalisa Atzei
Donne e lavoro: un binomio che da sempre appassiona le statistiche del nostro Paese, in un susseguirsi di numeri che a fatica riescono a contenere le numerose sfumature di un fenomeno tutto rosa che più che interessare il lavoro, talvolta parte all’opposto dalla triste piaga della disoccupazione femminile. Mentre fa notizia una donna che ricopre alte cariche politiche e istituzionali o che viene eletta al vertice delle alte dirigenze aziendali, in Italia ancora tantissime donne faticano a trovare un’occupazione stabile, ben retribuita, in linea con le proprie competenze professionali. Un lavoro che sia proposto a “misura di donna”, riconosciuto nella produttività e nella retribuzione al pari di quello maschile, pur tenendo conto di tutte quelle peculiarità proprie dell’universo femminile; misure che dovrebbero intervenire a favore e non a svantaggio di una donna lavoratrice, non concessioni, ma riconoscimenti tesi a valorizzare piuttosto che tollerare il genere femminile nel mondo del lavoro. Una linea generale in cui l’Italia, aderendo all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile sottoscritta nel settembre 2015 insieme agli altri Paesi membri dell’ONU, tenta di riconoscersi nel perseguimento del quinto obiettivo, il quale introduce la parità di genere e il “raggiungimento dell’uguaglianza di genere e l’empowerment (maggiore forza, autostima e consapevolezza) di tutte le donne e le ragazze”. Un obiettivo declinato a sua volta in nove target, in realtà ancora lontani dall’essere centrati.
L’Istat restituisce una fotografia della situazione occupazionale in generale miglioramento, ma i singoli dati rivelano una condizione critica per le donne, fortemente penalizzate dal lungo periodo della pandemia, con la perdita di 376 mila posti di lavoro. I numeri si stanno ora riassestando ai livelli pre-crisi, ma permangono, forse ancora più evidenti di prima, le differenze sia tra uomini e donne che a livello territoriale. L’Istat conferma, infatti, che il dato generale dei lavoratori è aumentato, ma conferma anche che i dati relativi agli uomini e alle donne sono cresciuti con percentuali molto diverse. Confrontando i numeri del dicembre 2021 con i più recenti di dicembre 2022, su 334 mila occupati in più in un anno, 296 mila sono uomini (oltre l’88 per cento) e solo 38 mila le donne, con un tasso di occupazione femminile che si ferma al 51,3%, appena lo 0,5% in più rispetto all’anno precedente (percentuale che si traduce in 9 milioni e 763 mila donne occupate contro 13 milioni e 452 mila uomini). Un divario che permane, dunque, sulla scia del fenomeno ribattezzato “She-cession”, termine con cui si indica la recessione post-Covid che ha fortemente condizionato l’occupazione femminile. Persiste e si accentua anche il divario territoriale, con una ripresa che interessa più velocemente il nord e il centro del Paese e lascia ancora una volta indietro il sud e le isole, segnando una netta divisione con una percentuale dell’occupazione femminile che arriva a superare il 66% in Trentino Alto Adige e precipita in Campania e Sicilia con appena il 30,4 e 30,3 per cento. In Sardegna le donne occupate nel 2022 erano 238 mila, con un tasso di occupazione che arriva a fatica al 46,5 per cento, con una variazione negativa del -1,4% rispetto al 2021. Le elaborazioni dei dati Istat curate da Il Sole 24 Ore fanno luce anche sulle professioni prevalenti: sono donne il 64,4% degli impiegati, il 58% degli addetti alla vendita e ai servizi alla persona, il 54,8% di chi svolge professioni intellettuali, tra cui le insegnanti. Tra i dirigenti e gli imprenditori solo un quarto sono donne, tra coloro che svolgono professioni tecniche appena il 39,7%, quest’ultimo dato in calo del 2% nel 2022 rispetto all’anno precedente; il 69,4% delle lavoratrici ha un contratto a tempo indeterminato, mentre il 14,5% ha un impiego a tempo determinato, contro l’11,7% dei maschi. Infine, permangono ampi divari anche a livello di retribuzioni, dovuti prevalentemente, oltre che alla minore presenza nei ruoli dirigenziali, alla maggiore incidenza del lavoro part-time, svolto dal 31% delle donne, contro il 9% degli uomini, e di impieghi discontinui nel tempo, la cui scelta è spesso dovuta alla necessità di conciliare il lavoro fuori casa con la cura della famiglia.
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Pubblicato su “Sulcis Iglesiente Oggi”, numero 9 del 12 marzo 2023