Il nostro cattivo uso della terra

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Dopo la tragedia di Bitti e le alluvioni in Sardegna. Clima, scelte politiche e burocrazia: intervista al geologo Fausto Pani

di Giulia Loi

L’alluvione di Bitti dello scorso 28 novembre è l’ennesima devastazione che la Sardegna si ritrova ad affrontare, come succede ormai di frequente negli ultimi anni: Villagrande nel 2004, Capoterra nel 2008, Olbia nel 2013, solo per citare gli eventi più recenti, sono alcune delle città che hanno dovuto fare i conti con i danni portati dalle forti piogge. L’allerta rossa su tutto il territorio della Sardegna era già stata annunciata nei giorni precedenti. Svariati comuni dell’Isola hanno disposto la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado e raccomandato di uscire solo se strettamente necessario, ma i dati pluviometrici hanno assunto un carattere eccezionale in Ogliastra, nel Nuorese, Gerrei e nell’area del Monte Linas, in cui si sono superati i 150mm in 24 ore con punte di oltre 300 mm nel territorio di Villagrande Strisaili, dove, più precisamente si è arrivati a 350 mm in 36 ore. Si parla di eventi eccezionali, ma cosa influisce davvero? È determinante quello che viene chiamato cambiamento climatico? O si tratta di fatalità, o di responsabilità o irresponsabilità umana? Ne abbiamo parlato con Fausto Alessandro Pani, geologo esperto in questioni ambientali ed urbanistiche. “I problemi legati a queste alluvioni non sono da imputarsi solamente ai cambiamenti climatici che sarebbe meglio chiamare variazioni climatiche”, esordisce il geologo Pani, “la nostra attività, infatti, influenza ben poco queste variazioni. Si tratta infatti piuttosto di un cattivo uso dei luoghi”. Pani infatti si riferisce alla costruzione intensiva edilizia fatta tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, posizionando abitazioni in luoghi non consoni, in particolar modo vicino a corsi d’acqua che in condizioni meteo avverse ci impiegano ben poco a raggiungere condizioni di piena e causare quindi seri danni alle costruzioni intorno. Complici di queste costruzioni le forti disponibilità economiche dell’epoca e una miope analisi del territorio, che non veniva analizzato circa l’idoneità per costruirvi ma veniva solamente considerato come un ampio terreno da riempire in maniera indiscriminata, semplicemente considerandolo uno spazio libero su cui edificare senza alcun criterio. Leggi successive hanno per fortuna permesso che si costruisse a distanze adeguate. Tuttavia, ogni qualvolta si applica una tecnica di sicurezza, accade però che solo il tempo possa permettere di verificarne l’efficacia. È il caso, ad esempio, dell’applicazione degli impluvi tombati, a norma ovviamente, ma che il tempo poi ha mostrato essere insufficienti, “perché noi non mutiamo velocemente come il tempo”, ha spiegato Pani. Un altro problema è che molto spesso i fondi e i progetti per intervenire nelle zone a rischio idrogeologico ci sono, ma i tempi di realizzazione sono sempre troppo lenti e, sia che sia per problemi burocratici o semplice disattenzione da parte di chi dovrebbe intervenire, si arriva ai mesi autunnali e invernali con i progetti ancora irrealizzati, ed è lì che aumentano le possibilità di un danno serio. Altri danni possono essersi presentati a causa dei fondi insufficienti di cui usufruisce il Piano per l’Assetto Idrogeologico (o PAI), che non hanno permesso quindi uno studio della Sardegna in toto, ma solo in parte. Quali sarebbero quindi le soluzioni da applicare per fare in modo che non accadano disastri del genere? Stombare i corsi d’acqua e ampliarli, costruire dei canali di gronda che raccolgano l’acqua perché non scenda nell’abitato, sono solo alcune delle tecniche pratiche che si potrebbero adottare, ma ciò che sarebbe davvero fondamentale è incrementare quella che è l’amministrazione del problema alla base: “Gli organi regionali che studiano il territorio sotto l’aspetto geologico e idraulico devono essere rafforzati” spiega Pani “ci sono solo quattro geologi in Regione e ne servirebbero almeno il doppio”, e conclude: “Dopo aver terminato gli adeguati studi sul territorio, vanno messi a disposizione fondi e prestata una maggiore attenzione, non per alleggerire l’attenzione sui progetti, ma per far sì che ci sia un numero adeguato di personale che si possa dedicare a tutti i progetti in fase di elaborazione. La politica deve avere per la questione una linea preferenziale”.