
di Giampaolo Atzei
La recente tragedia di Bitti, con il suo drammatico bilancio di vite perdute e danni materiali, è un grido di dolore della nostra terra che richiama tutti al proprio dovere, anzi ancor meglio al proprio posto, nel rispetto del creato, in quel luogo che troppo spesso l’uomo ha invaso senza timore di pagare pegno.
Troppo facile liberarsi la coscienza pensando che eventi come le alluvioni, che hanno flagellato la Sardegna nello scorso fine settimana, hanno un’origine naturale, poiché la mano dell’uomo è fin troppo evidente. Lo è nel mancato rispetto della sicurezza dei luoghi, dalla responsabilità più prossima del costruire dove non è opportuno e imbrigliare l’acqua in tombe di cemento, a quella più ampia di intere generazioni e popoli che hanno partecipato con le loro scelte politiche ed economiche alla manomissione ambientale del pianeta ed alle conseguenti variazioni climatiche. Così, capita poi fatalmente che ci ritroviamo a piangere i morti, abbracciare i sopravvissuti, aiutare la ricostruzione. E ogni volta andiamo dicendo che dall’errore compiuto si deve apprendere la lezione, salvo sospirare e immaginare che saranno le stesse parole che ripeteremo alla prossima occasione. Parole inutili a quel punto, sterile esercizio retorico se non si superano le paludi della burocrazia, le lentezze delle progettazioni e le logiche di interesse particolari nelle questioni di pubblico interesse.
Ci sono tuttavia segni che fanno ben sperare. “Gutta cavat lapidem” dicevano nell’antica Roma: goccia dopo goccia si può perforare anche la pietra e, allo stesso modo, anche tante buone parole alla fine non possono lasciare indifferenti, specialmente le nuove generazioni, quelle cui verrà affidato il pianeta da quanti l’hanno condotto sino al passo che conosciamo. Le buone parole sono quelle di papa Francesco, spese per la pandemia, per la crisi che stiamo vivendo ma universali come non mai. “Non dimenticatevi, da una crisi mai si esce uguali”, ha detto Bergoglio ai giovani economisti, ricordando come la strada per la costruzione del bene comune, di uno sviluppo integrale e sostenibile, possa essere stretta e difficile ma conduca a risultati concreti se percorsa con la tenacia della goccia che scava la roccia. Sembra andare in questa direzione anche l’inedita sensibilità della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che per la prima volta ha accettato l’istanza di sei giovani portoghesi che accusano 33 paesi, tra cui l’Italia, di non aver fatto abbastanza contro l’emergenza climatica. È questo un segno di speranza e l’indice di un cambiamento che comincia, pure nelle corti di giustizia, grazie all’onda lenta ma costante della Generazione Greta, bambini e ragazzi che alla sensibilità ambientale stanno ora aggiungendo, nel corpo e nell’anima, il segno dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo. Mentre ci affanniamo a discutere di shopping natalizio, piste da sci e discoteche, migliaia di giovani stanno scoprendo la scuola dallo schermo di un computer o di un telefono. Se la pandemia del Covid-19 ha spaccato la storia di tutti, per loro sarà un timbro sul cammino di crescita, un processo da accompagnare perché si sentano lievito del mondo che verrà, costruito facendo “crescere ciò che è buono”, come ci ha detto ancora Francesco.