Storia. Nel settembre 1938 vennero approvati i primi provvedimenti del regime fascista
Ottant’anni fa l’infamia delle leggi razziali
di Jacopo Casula
Era il 5 settembre del 1938, quando venne firmato il primo dei decreti che sarebbero andati a costituire il nucleo iniziale delle leggi razziali in Italia. Il primo di circa 180 provvedimenti, tra decreti, leggi e regolamenti, che andranno ad incidere in maniera massiccia, e spesso silenziosa, sulla vita di migliaia di italiani, messi ai margini della vita civile in quanto appartenenti a famiglie di origine israelita e di religione ebraica.
Il primo decreto riguardava l’esclusione, di fatto, degli ebrei dalla scuola pubblica, con il divieto dell’insegnamento per i docenti e con la creazione di classi differenziali per gli studenti, costretti ad abbandonare le scuole che frequentavano per confluire in particolari corsi di studi organizzati dalle comunità ebraiche. Nel giro di qualche mese, i decreti approvati dal regime fascista ampliarono gli ambiti di discriminazione, escludendo gli ebrei dalle forze armate, dalla pubblica amministrazione, dal mondo accademico e culturale, e dalla finanza.
I cittadini stranieri di religione ebraica vennero espulsi ed i beni confiscati, mentre agli ebrei italiani venne impedito di dirigere imprese, di assumere dipendenti non ebrei, di lavorare nel mondo editoriale e persino di possedere apparecchi radio. Su di loro l’onta dell’infamia, e l’accusa di mettere in atto politiche contrarie all’interesse nazionale, nonostante numerosi ebrei fossero sostenitori del fascismo già prima della presa del potere da parte di Mussolini. Oltre a questo vennero vietati i matrimoni misti, per preservare, secondo le intenzioni dei promotori della legislazione razziale, i caratteri di quella che consideravano la razza italiana, di origine ariana e quindi priva di contaminazioni semite.
In molti casi, la storiografia si è chiesta quando gli italiani si siano scoperti antisemiti e quanto questi sentimenti abbiano avuto riscontro nel paese reale, nel modo di pensare del cittadino comune. A questa domanda ancora non si è riusciti a dare una risposta univoca e le opinioni degli storici sono state spesso discordanti. Molti hanno sostenuto che, nel corso degli anni precedenti, il regime avesse preparato il terreno per le leggi razziali, con una campagna volta a esasperare nazionalismo e xenofobia. È emblematico il caso della legislazione applicata nelle colonie, che scoraggiava i rapporti tra italiani ed indigeni, e la pubblicazione di opere editoriali come “La difesa della razza”, la celebre rivista diretta da Telesio Interlandi alla quale collaborarono tanti giovani cronisti, diventati poi, nel dopoguerra, campioni dell’antifascismo militante.
Dall’altra parte è evidente come la legislazione razziale non abbia incontrato il favore popolare che aveva accompagnato altri provvedimenti attuati dal regime in quegli anni, dalla campagna per l’autarchia ai grandi lavori di bonifica del territorio. Probabilmente la verità sta nel mezzo, in provvedimenti che sono stati accettati passivamente, nell’ottica di un allineamento sempre più massiccio con le posizioni degli altri regimi totalitari, senza l’entusiastico favore delle masse, e contemporaneamente senza grandi opposizioni, come se la coscienza civile degli italiani fosse assopita dopo oltre quindici anni di regime.
Le principali voci contrarie arrivarono dal mondo accademico e soprattutto da quello cattolico, con la Chiesa che espresse il suo dissenso, in molti casi in maniera esplicita, permettendo a numerosi docenti ebrei di insegnare all’interno delle scuole cattoliche, l’unico presidio del pluralismo rimasto nel paese. Un dato di fatto è rappresentato dalla valutazione sugli effetti che le leggi razziali ebbero sulla popolazione ebraica, alla luce anche dell’imminente apertura delle ostilità, con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale e l’alleanza militare dell’Italia con la Germania nazista. Leggi razziali da considerare come primo passo verso la tragedia delle deportazioni degli ebrei italiani verso i campi di concentramento, un’infamia che ancora oggi rappresenta una ferita aperta ed insanabile.
Pubblicato su “Sulcis Iglesiente Oggi”, numero 31 del 16 settembre 2018