Nelle periferie, dove è malato anche il diritto alla salute

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Mons. Antonello Mura, vescovo di Nuoro e Lanusei, qualche settimana fa ha denunciato il clientelismo che affligge la nostra sanità

di Giampaolo Atzei

“Quando una persona sperimenta nella propria carne fragilità e sofferenza a causa della malattia, anche il suo cuore si appesantisce, la paura cresce, gli interrogativi si moltiplicano, la domanda di senso per tutto quello che succede si fa più urgente”. Così scrive papa Francesco nel messaggio per la XXX Giornata mondiale del Malato, che celebriamo l’11 febbraio.
Un’osservazione che possiamo fare nostra nel suo valore collettivo, perché è tutta una società che, quando sperimenta “fragilità e sofferenza”, si incupisce e si rinchiude. Ora che la pandemia sembra diradarsi nelle sue nebbie, possiamo cominciare a dire che non è andata #tuttobene come cantavamo dai balconi quasi due anni fa. Ne stiamo uscendo più diffidenti, stanchi e soli, disabituati alla comunità anche se fiduciosi di poterci lasciare tutto alle spalle.
Intanto le nostre comunità si sono svuotate, qualcuno parla a ragion veduta di “inverno pastorale” nelle nostre chiese, e abbiamo preso coscienza di tanti limiti e distanze. Le distanze sociali, tecnologiche, culturali, quelle che la didattica a distanza ha evidenziato nella scuola, nella vita di tutti i giorni, dove abbiamo sostituito le due parole scambiate sotto casa ad una chiacchierata su Zoom o WhatsApp. Ma specialmente ci siamo resi conto di quanto le periferie siano ancora più tali quando si parla di sanità.
Nel Sulcis Iglesiente come in ogni angolo della nostra regione, le cronache sono bollettini quotidiani di disagi, difficoltà, malfunzionamenti, che colpiscono pazienti e personale medico e sanitario. Prima di Natale, Iglesias è scesa in piazza per difendere l’ospedale Cto, nel timore di perdere l’ultimo residuo di una presenza ospedaliera un tempo ben diversa. Ma di certo non sorridono Muravera, Bosa, Sorgono, Isili, neppure a Oristano e Nuoro, addirittura anche a Cagliari e Sassari. È un malessere trasversale e diffuso, che però si fa sentire in maniera ancora più forte nelle periferie, lontano dalle aree urbane più popolate, dal centro del potere.
Mons. Antonello Mura, vescovo di Nuoro e Lanusei, qualche settimana fa ha denunciato il clientelismo tra i mali che affliggono la nostra sanità. È un discorso che va lontano nel tempo, un’attenzione che non deve mai scemare: per quanto la salute delle persone sarà campo di raccolta per spregiudicati interessi di parte, le speranze di un servizio sanitario migliore, pubblico, equo ed efficiente, saranno parole vane.
Basta scorrere gli almanacchi della Regione per vedere che quasi non c’è partito politico che negli ultimi trent’anni non abbia accomodato propri uomini e donne in quest’assessorato strategico. Da centro a destra e sinistra, alla sanità ci sono passati tutti, si è perso il conto delle riforme, ora ne è in ballo una nuova che azzera la precedente. Eppure sembra sempre di essere al punto di partenza, con ospedali eterni cantieri, convegni e annunci, sacrifici personali di medici e pazienti, qualche reparto che chiude e non riapre, se non magari in qualche nuova struttura privata.
Un grande gioco dell’oca, avanti il prossimo, i dadi sono pronti.

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