Vicini a chi soffre, negli ospedali e nelle case

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Per la XXX Giornata mondiale del Malato, una riflessione sulla fatica e l’impegno, spesso invisibile, di famiglie e personale sanitario 

di Don Luigi Sulas
Direttore dell’ufficio diocesano della Pastorale della salute

Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36): Porsi accanto a chi soffre in un cammino di carità”, è il tema della trentesima Giornata del Mondiale de Malato. Questa giornata, istituita da San Giovanni Paolo II il 13 maggio 1992, nasce per sensibilizzare il popolo di Dio e la società civile alle esigenze di assistenza e cura dei malati, per aiutare i malati a valorizzare la sofferenza, coinvolgere le diocesi, le comunità cristiane e le famiglie religiose nella pastorale della salute, favorire l’impegno del volontariato, promuovere la formazione spirituale e morale degli operatori sanitari e richiamare l’importanza dell’assistenza religiosa a chi soffre.
In questi anni la realtà è notevolmente cambiata soprattutto, come tutti vediamo, in questi ultimi ventiquattro mesi, tanto che dal 2020 la Giornata si è potuta celebrare solo a livello parrocchiale, per evitare gli assembramenti durante la pandemia.
In questa Giornata del malato il nostro pensiero si allarga necessariamente a tutti coloro che operano nel mondo della sanità, spesso sovraccaricati di un peso eccesivo per mancanza di strumenti adeguati. La sanità nazionale e regionale al sopraggiungere del Covid, infatti, è esplosa. Confrontandomi con altri cappellani ospedalieri, riscontro gli stessi problemi: ospedali in tilt, reparti chiusi a causa del virus, personale in costante diminuzione a causa dei contagi… Anche io al sopraggiungere del Covid ho cambiato completamente il mio modo di operare. Cerco di non far mancare la mia presenza accanto a chi soffre, ma spesso devo rinunciare a visitare gli ammalati perché i reparti, spesso sono inaccessibili a causa del virus. Quando ho visitato qualche ammalato di Covid, per l’unzione degli infermi, mi sono dovuto rivestire di tuta, maschera e guanti come fanno tutti gli operatori sanitari. Purtroppo non ho mai potuto portagli il Santissimo Sacramento, né stargli accanto per dire loro una parola di conforto.
Anche gli stessi operatori sanitari si trovano in una situazione del tutto nuova per loro. Perché i pazienti, sia i più giovani che i più anziani, soffrono nel non poter vedere i propri parenti. Quelli più giovani che utilizzano facilmente il cellulare, in parte alleviano in questo modo la lontananza dai propri cari. I pazienti un po’ più anziani, pur possedendo un telefono, talvolta, non lo sanno usare, allora gli infermieri e gli OSS li aiutano a comporre il numero e chiamare i propri familiari. Vi sono poi i pazienti con Alzheimer o demenza, i quali non riescono a comprendere la situazione in cui si ritrovano, non vedendo i loro parenti si sentono abbandonati. Gli infermieri cercano di spiegare la situazione in modo semplice e di tranquillizzarli il più possibile, tenendogli compagnia e aiutandoli fisicamente e mentalmente. Dall’altra parte ci sono i parenti, che non potendo vedere i propri cari vivono con maggiore ansia la degenza dei loro congiunti; chiamano più volte al giorno nei reparti per sapere come stanno, se mangiano, se dormono, se ci sono segni di miglioramento… I medici cercano di aggiornarli costantemente, tuttavia, non poter vedere e sentire il proprio caro direttamente crea un senso di smarrimento e preoccupazione.
Non dobbiamo dimenticarci, inoltre, delle famiglie che hanno a casa un congiunto allettato. Come è facile comprendere diventa un impegno per tutta la famiglia che vede condizionato il proprio ritmo di vita. Senza dimenticare l’impegno economico che talvolta la famiglia deve affrontare. Se da un lato la famiglia è impegnata, dall’altro è felice perché può curarlo amorevolmente.
Vorrei concludere questa breve riflessione facendo mie le parole che Papa Francesco ha pronunciato in occasione della quarta Giornata mondiale dei poveri: “Tendere la mano è un segno: un segno che richiama immediatamente alla prossimità, alla solidarietà, all’amore. … La mano tesa del medico che si preoccupa di ogni paziente cercando di trovare il rimedio giusto. La mano tesa dell’infermiera e dell’infermiere che, ben oltre i loro orari di lavoro, rimangono ad accudire i malati. La mano tesa di chi lavora nell’amministrazione e procura i mezzi per salvare quante più vite possibile. La mano tesa del farmacista esposto a tante richieste in un rischioso contatto con la gente. La mano tesa del sacerdote che benedice con lo strazio nel cuore. … E altre mani tese potremmo ancora descrivere fino a comporre una litania di opere di bene. Tutte queste mani hanno sfidato il contagio e la paura pur di dare sostegno e consolazione”. Ecco nella mia esperienza ho potuto constatare quanto sono vere queste parole, anche se talvolta, tutto ciò dall’esterno non è percepito.

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