Dal coprifuoco del Covid al vento della guerra vera

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Per debellare la pandemia scoprimmo il coprifuoco, dal linguaggio bellico di allora all’amara scoperta della guerra sulla porta di casa  

di Giampaolo Atzei

Due anni fa esatti, con il Dpcm del 9 marzo 2020, l’Italia entrava nel cosiddetto lockdown, la zona rossa integrale per debellare il Covid-19. Cambiò la vita per tutti, ci ritrovammo rinchiusi in casa, scoprimmo il lavoro agile, la didattica a distanza e finalmente il rispetto della fila, nell’attesa disciplinata di entrare al supermercato per la spesa. Poi c’è stato il coprifuoco, il controllo delle forze di polizia sul rispetto delle norme, la ribellione di quanti ripetono che in questi due anni le democrazie occidentali hanno svelato il loro volto autoritario. Come se fossimo in guerra si diceva, il coprifuoco, gli assembramenti, i razionamenti, le ronde, anche il nostro linguaggio aveva assunto il tono bellico della battaglia quotidiana contro il Coronavirus.
Ora che la guerra bussa davvero alle nostre porte, cosa ci è rimasto di questi due anni?
Da più parti, leggiamo e vediamo con i nostri occhi che la resistenza dura dei “no vax” contro la dittatura sanitaria si sovrappone ai “se” e “ma” per la guerra d’aggressione condotta dalla Russia. Questi due anni hanno seminato distanza e diffidenza, scavato solchi, fatto crescere gli egoismi, messo in pregiudizio la scienza, insinuato l’idea di un complotto mondiale di cui i nostri legittimi governi sono complici, elevando a paladini dei perduti valori personalità contradditorie quali Putin e Trump. È un effetto collaterale del Covid, che ci ha introdotti all’odierno clima di guerra: conosciamo la fragilità della distanza, la crisi della libertà, il lavoro che scarseggia, le parole sono quanto mai indice della verità della vita.
Ora che sono scoccate due settimane di conflitto in Ucraina, alcune evidenze si palesano ai nostri occhi. Seppure la guerra dovesse finire stanotte milioni di ucraini sono già fuggiti dal loro paese, le loro case sono state distrutte, le città occupate dagli invasori, non potranno tornare indietro. Presto arriveranno alle nostre porte famiglie che chiederanno aiuto, l’Europa occidentale si troverà ad accogliere un esodo disperato che ci interrogherà sulla nostra reale capacità di accogliere, aiutare, magari finalmente capire quale sia il dramma di quanti fuggono dalle periferie del mondo, anche se non arrivano da Siria, Yemen o Afghanistan, da mondi lontani, diversi, eppure egualmente tribolati come l’Ucraina che vediamo in tv 24 ore al giorno.
E poi l’aspetto che ci tocca più da vicino, nelle tasche, sin nel nostro angolo di Sardegna: la fuga dei turisti carichi di rubli, la crisi energetica e di materie prime per le sanzioni alla Russia, il costo dei carburanti che sale alle stelle, la paura per il futuro degli investimenti russi nel territorio – basti solo pensare a quali ricadute potrebbe avere la guerra sul riavvio dell’Eurallumima, lo stabilimento di Portovesme in mano alla Rusal – magari però sopravvive la termocentrale a carbone.
Ecco, anche se le armi dovessero tacere, e tutti preghiamo ardentemente che presto accada, non torneranno indietro le lancette dell’orologio: il mondo è già cambiato.

Foto Gregorio Semenkov (SIR)

© Riproduzione riservata
Pubblicato su “Sulcis Iglesiente Oggi”, numero 9 del 13 marzo 2022

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