In occasione dell’otto marzo, dialogo a tutto campo con Elvira Usai, prima donna sindaco nel Comune di San Giovanni Suergiu
di Annalisa Atzei
Elvira Usai, 43 anni, giornalista e donna impegnata nel sociale, dal 2016 è sindaca di San Giovanni Suergiu. In occasione dell’otto marzo, l’abbiamo incontrata per ragionare e riflettere insieme sul nostro territorio e sulla condizione femminile nel Sulcis Iglesiente, letto e raccontato con gli occhi di un’amministratrice comunale, dalla parte delle donne, con la sensibilità delle donne, libere dagli stereotipi e dai luoghi comuni.
Donne e politica, un connubio che forse ancora spaventa. Incontrandola non possiamo non pensare al suo ruolo di sindaca del comune di San Giovanni Suergiu: come è nato in lei il desiderio di diventare un giorno amministratrice del suo paese?
Più che un desiderio personalistico, sono stata animata da un entusiasmo di impegno civico per il mio paese. San Giovanni Suergiu e la mia famiglia mi hanno dato tante opportunità e hanno contribuito a essere quella che sono oggi. L’istruzione, l’aggregazione sociale e culturale dell’oratorio, lo sport, la biblioteca comunale sono tutti luoghi fisici e immateriali essenziali che hanno caratterizzato la mia infanzia e la mia adolescenza. E anche le successive esperienze di studio e di lavoro fuori dal paese natio non potevano avere un valore esponenziale se non rimesse al servizio della mia comunità. Ecco perché vivo questa esperienza politica e amministrativa da prima cittadina come restituzione e contributo affinché anche le future generazioni possano usufruire degli stessi strumenti di crescita di cui ho usufruito io.
Cosa significa per lei amministrare oggi un comune messo a dura prova dalla crisi economica del territorio?
Amministrare un comune del nostro territorio oggi è terribilmente complicato: occorre tanto coraggio e devi essere animata da una forte dose di determinazione, perché oltre la crisi economica e le scarse risorse finanziarie, devi mettere in conto anche una profonda crisi di valori, uno scoramento generale e la sfiducia nelle istituzioni da parte delle persone. In un momento dove i riferimenti istituzionali non sono più percepiti come autorevoli e risolutivi delle problematiche quotidiane si fa doppiamente fatica a far comprendere come si lavora e quanto si lavora. In ogni caso io la considero una delle più belle sfide che la vita mi abbia riservato e un grande onore che sino all’ultimo giorno porterò nel cuore.
Conciliare carriera e famiglia ancora oggi per molte donne è complicato e spesso si rinuncia a una delle due. Secondo lei perché?
Si rinuncia a una delle due possibilità di carriera per due differenti motivi: in primis ancora le donne si portano dietro un retaggio educativo e culturale che le identifica solamente come angeli del focolare, come le uniche a poter svolgere quei lavori di cura e presa in carico dei figli e degli anziani, come colonna portante dell’ambito familiare ristretto e parentale. In secondo luogo la società non offre ancora quelle opportunità e quegli strumenti di welfare concreto che consentono alla donna di poter lavorare con la stessa serenità e consapevolezza dei colleghi uomini. Penso all’esiguo numero di strutture per l’infanzia, penso a un orario del carico di lavoro che non corrisponde alle esigenze della cura dei figli, penso anche una discriminazione economica tra uomo e donna nello stesso ambito professionale. Nel frattempo la straordinaria capacità di organizzazione insita nel genere femminile ci consente di mettere in campo forze quasi sovrannaturali che sopperiscono a ogni impegno.
Come vede la donna nella nostra società e cosa manca secondo lei al nostro Paese perché veramente possa definirsi a “misura di donna”?
Le donne nella nostra società fanno ancora tanta fatica ad affermare il loro valore e la loro autorevolezza. Devono lavorare il doppio per vedersi riconosciuta la metà di ciò che fanno; devono sollevare la voce perché spesso zittite o non ascoltate; devono combattere quotidianamente contro l’ignoranza e gli stereotipi di genere; purtroppo ancora tante sono vittime di violenza e sopraffazione psicologica. Alla luce di ciò ritengo che l’Italia non sia ancora un paese a misura di donna e lo constatiamo anche in ambito politico. Convegni, seminari, tavoli istituzionali per la grande parte delle volte costituiti da un parterre al maschile, posizioni apicali sempre occupate dagli uomini. Ancora la storia italiana non ci ha fatto conoscere una presidenza della Regione Sardegna, del Consiglio dei Ministri e della Repubblica tutta al femminile! Tutto è possibile e bisogna lavorare affinché accada: io per esempio sono la prima donna sindaco di San Giovanni Suergiu e mi auguro che ce ne siano tante altre in futuro.
E qui da noi, quali criticità e punti di forza le sembrano più evidenti?
Le criticità anche qui nei territori periferici dello Stato sono simili a quelle che ho elencato in precedenza. Mi piace perciò parlare dei punti di forza delle donne che sono chiamate a svolgere un ruolo di guida della propria comunità o del proprio territorio. A differenza dei colleghi uomini esprimono autorevolezza e non autoritarismo, sono più propense al dialogo e all’ascolto delle parti, sono più empatiche e quindi mettono in campo sentimenti e sfumature caratteriali che avvicinano e non dividono. L’essere materne e concilianti le aiuta a non trascurare le fasce più deboli e dimenticate della società. Nel contempo sono molto battagliere, determinate, con un grande senso del giusto e dell’equo e poco inclini al compromesso.
Ci avviciniamo all’8 marzo, festa della donna. Secondo lei oggi che significato ha questa festa?
Fortunatamente il significato dell’8 marzo oggi assume altre sfumature e altri connotati. Nel tempo, da mera festa commerciale si è trasformata in momento di riflessione collettiva, di appuntamento per denunciare situazioni di disparità e violenza. Sta cambiando la cultura di un giorno che, nato per commemorare una tragedia di lavoro femminile, rischiava di essere svilito dalle lusinghe del consumismo. Dobbiamo tutte insieme lavorare affinché tutti i giorni dell’anno siano di rispetto e attenzione per le donne, affinché il sacrificio di chi ha lottato perché noi fossimo libere non sia stato vano.
La saluto, ringraziandola, chiedendole di lasciarci un messaggio rivolto alle donne del nostro territorio, in particolare alle bambine e alle ragazze del Sulcis Iglesiente.
Alle donne ma in particolare alle bambine del Sulcis Iglesiente vorrei lasciare questo messaggio: siate coraggiose, abbiate fiducia in voi stesse e nelle vostre capacità e inseguite i vostri sogni. Non rinunciate alla libertà di scegliere ciò che è più giusto per voi. E soprattutto studiate, leggete e viaggiate: nessuno vi può impedire di fare della vostra vita un capolavoro!