Giovani e scuola. Oltre cento gli istituti coinvolti dall’indagine dell’Eurispes sul cyberbullismo in Sardegna, presentata online il 16 febbraio scorso
di Giulia Loi
L’Eurispes, Istituto di Studi Politici, Economici e Sociali, ha realizzato, col contributo dell’Assessorato Regionale alla Programmazione e Bilancio e con la collaborazione dell’Assessorato alla Pubblica Istruzione, l’Indagine sul Cyberbullismo nelle scuole della Sardegna, che coinvolge gli alunni di età compresa tra gli 11 e i 18 anni, le loro famiglie e i docenti. Una conferenza svoltasi il 16 febbraio sulla piattaforma Zoom ha illustrato il progetto ancora in via di svolgimento – i risultati verranno presentati entro la fine di maggio -, ed è stata coordinata da Gerolamo Balata, direttore della sede Regionale dell’Eurispes. L’indagine è stata estesa a 109 scuole dell’Isola, attentamente individuate secondo la tipologia (scuole superiori di 1° o 2° grado) e la collocazione geografica. Attualmente hanno compilato il questionario conoscitivo quasi 3.000 studenti, 1.117 adulti e circa 800 insegnanti. Per l’indagine è stato scelto un campione probabilistico a grappoli tenendo conto di età, sesso, zona geografica, scuola frequentata e classe.
“La situazione dovuta alla pandemia aveva creato preoccupazione per la modalità di somministrazione dei questionari per l’indagine”, ha spiegato Balata “ma in realtà è stata la maniera ottimale per sottoporre a tutti il questionario, grazie anche alla collaborazione degli istituti scolastici”.
Nell’intervento di Raffaella Saso, vicedirettrice dell’Eurispes, è emerso come il fenomeno del bullismo sia sempre esistito ma si sia in qualche modo evoluto con l’avvento della tecnologia, spostandosi quindi sul “mondo virtuale” e diventando così cyberbullismo. “La scuola forma casualmente dei gruppi di persone, ed è per questo che si creano questi avvenimenti” ha affermato Saso, “è importante parlare con i ragazzi per comprendere meglio il fenomeno e intervenire”. Raffaella Saso ha anche spiegato come sia importante capire il punto di vista dei bulli e non solo delle vittime e che è fondamentale l’inclusione dei genitori e di tutti coloro che partecipano all’atto di bullismo, in maniera attiva ma anche passiva. L’evoluzione è stata registrata grossomodo dal 2007, la tecnologia ha reso difficile contrastare gli atti di bullismo e sono sempre più anche le ragazze che partecipano a tali atti, che non si manifestano semplicemente con violenze fisiche ma anche psicologiche e che puntano tutto sull’esclusione della vittima da un gruppo. Negli ultimi anni inoltre è stato riscontrato come siano aumentati i pretesti per bullizzare, dagli handicap al fatto di appartenere a una minoranza. La tecnologia quindi, dal suo arrivo, ha mostrato di avere grandi possibilità ma si può rivelare anche molto pericolosa. La scuola e la famiglia, a livello preventivo, dovrebbero aiutare i ragazzi e educarli a non diventare prevaricatori, ma anche a reagire in caso si assista a un atto di bullismo.
Nella conferenza, dopo vari saluti istituzionali di sindaci e assessori, sono intervenuti anche i relatori esperti del settore: Marisa Muzzetto, sociologa, ha spiegato come il fenomeno del cyberbullismo sia aumentato in quanto l’attuale generazione di studenti è quella che è nata nel periodo in cui essere “connessi” è un qualcosa di quotidiano. La distanza creata dai media e l’anonimato possono contraddire i normali principi della vita di tutti i giorni, i ragazzi diventano insensibili alle sofferenze altrui e non capiscono le conseguenze del proprio agire nel vissuto dell’altro. Se poi prima le vittime erano vessabili solo a scuola, ora sono sempre raggiungibili a causa della tecnologia. Dall’indagine è emerso che l’80% dei giovani tra gli 11 e i 17 anni utilizzano il proprio smartphone navigando in internet ogni giorno. L’indagine quindi è volta a studiare tutti i possibili scenari di cyberbullismo: messaggi insistenti, molestie per cui la vittima comincia a temere per la propria incolumità, denigrazione tramite diffusione di pettegolezzi, violazione di account con conseguente rovina dell’immagine o della reputazione, inganno e diffusione di immagini private, esclusione da un gruppo online o una chat, violenza diffusa sul web tramite video, infine il sexting, cioè la diffusione di materiale intimo scambiato online.
Il punto forte del test è sicuramente il fatto che gli studenti non sono obbligati a scrivere nulla, si tratta di domande chiuse, perciò sono più invogliati a rispondere ed è più facile analizzare le risposte. Il link viene inserito nel sito dell’istituto, nelle bacheche delle classi. Antonella Sanna, esperta dei problemi dell’Età Evolutiva si è occupata delle scuole, mentre lo psicologo Luca Pisano ha analizzato alcuni dei punti chiave del cyberbullismo, tra questi la poca conoscenza giuridica dei ragazzi rispetto alle conseguenze delle proprie azioni, l’analfabetismo digitale per cui i ragazzi pur cresciuti nel web non lo conoscono, e non riescono quindi a distinguere realtà virtuale e realtà vera, e il fatto che attraverso l’uso smodato di smartphone, giochi online e video di youtubers che producono contenuti di dubbia qualità, i ragazzi si ritrovino davanti a pessimi modelli di comportamento.
Nell’ultima parte della conferenza sono intervenuti Luisella Fenu, procuratrice della Repubblica presso il Tribunale dei minori di Sassari, Maria Giovanna Pisanu, magistrata presso il Tribunale dei Minori di Cagliari e Francesco Greco, dirigente del Compartimento Polizia Postale e delle Comunicazioni per la Sardegna, che hanno sottolineato quanto sia importante questa indagine che mette alla luce un fenomeno per cui i reati segnalati sono veramente esigui. Si tratta evidentemente solo della punta dell’iceberg, sicuramente i risultati saranno quindi utili a una prevenzione di atti del genere.
L’ultima parola è andata ai referenti del cyberbullismo e ai presidi di diverse scuole provenienti da tutta l’Isola. Tra questi anche Franca Fara, dirigente scolastica dell’istituto comprensivo “P. Allori” di Iglesias, che ha osservato la precocità da parte dei ragazzi nel possedere un cellulare, e questo è un dato sicuramente da indagare fra i genitori. La scuola impedisce l’utilizzo del cellulare durante l’orario scolastico se non per motivi didattici. “Il problema è che la scuola può controllare ciò che succede fra le proprie mura, ma non ciò che accade all’esterno” spiega la preside Fara, riferendosi agli atti di cyberbullismo che avvengono al di fuori dall’orario scolastico. L’istituto si è occupato più volte di svolgere incontri tra Polizia Postale, famiglie, docenti e alunni, ma gli incontri con le famiglie – come hanno riscontrato anche altri partecipanti al convegno – non vanno sempre come sperato. In conclusione, come è stato ripetuto in diversi interventi, è importante lavorare con le emozioni dei ragazzi, sia del bullizzato ma anche di chi bullizza. Il ragazzo, infatti, in queste situazioni non capisce le emozioni dell’altro. In questo è fondamentale l’azione educativa, che serve a insegnare ai ragazzi a muoversi in un ambiente così complicato.