Un Sì o un No per decidere sul taglio dei parlamentari

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Politica e società. Dialogo con il giurista Andrea Pubusa sul referendum costituzionale del 29 marzo, quando si deciderà sulla riduzione del numero dei parlamentari

di Mario Girau

Mancano due mesi al referendum – il prossimo 29 marzo – sul taglio del numero dei parlamentari, che passeranno, in caso di vittoria del Sì, alla Camera dei Deputati dagli attuali 630 a 400, e nel Senato della Repubblica da 315 a 200. Non si tratta di un fatto di poco conto, da far rientrare nei complessi meccanismi del funzionamento delle Istituzioni, ma di un evento di notevole rilievo perché riguarda la rappresentatività del popolo, quindi i limiti e l’ampiezza della nostra democrazia. Un appuntamento delicato attende i cittadini. Per informare i sardi sulla portata e importanza di questa consultazione e sui vantaggi e svantaggi per il popolo sardo, abbiamo parlato col professor Andrea Pubusa, a lungo professore di Diritto Pubblico e di Diritto Amministrativo nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Cagliari e ora giuspubblicista nello stesso Ateneo.

Il vero motivo, almeno quello iniziale, è far risparmiare lo Stato. In genere le riforme costituzionali si fanno sui principi e sui valori. Questa viene fatta sui soldi.

hqdefaultVoglio chiarire anzitutto ai lettori che il referendum sul taglio dei parlamentari, che si terrà il 29 marzo, viene comunemente chiamato “confermativo”, in realtà è una consultazione di natura “oppositiva”, perché normalmente chi lo richiede intende dire NO ad una legge di revisione costituzionale già approvata nelle due Camere. In base all’articolo 138 della Costituzione, non c’è quorum di validità come invece richiesto per i referendum abrogativi di leggi ordinarie: la riforma costituzionale sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi, indipendentemente da quante persone si recano ai seggi. Ricordate il referendum sulla legge statutaria di Soru? Fu bocciata benché i partecipanti al voto fossero pochi.
C’è risparmio? Certamente. La riforma costituzionale riduce i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. L’istituto dei senatori a vita è conservato fissandone a 5 il numero massimo (finora 5 era il numero massimo che ciascun presidente poteva nominare). Ridotti anche gli eletti all’estero: i deputati scendono da 12 a 8, i senatori da 6 a 4. La riduzione dei costi potrebbe però avvenire anche con un semplice taglio alle indennità invero troppo alte.

Se il referendum dirà sì alla riforma la Sardegna perderà un terzo della sua attuale rappresentanza parlamentare. Questa regione non conta quasi nulla alle Europee, rischia la stessa fine in Italia.

Cosa succede in Sardegna se la legge verrà confermata? Alle prossime elezioni politiche la nostra Isola potrà eleggere solo 16 parlamentari, nove in meno rispetto agli attuali. Per effetto del dl costituzionale approvato in via definitiva a Montecitorio, alla Camera da 17 seggi l’Isola scende a 11, con una riduzione del 35,3%. In Senato, invece, si passerà da 8 a 5 (-37,5%). Per il numero di abitanti, la Sardegna è una delle Regioni più penalizzate dal taglio. Di più e peggio: a Palazzo Madama, l’opposizione, qualsiasi essa sia, non eleggerà rappresentanti. Ci saranno solo senatori di maggioranza.
Ora, la ragione addotta dai 5Stelle a sostegno della loro proposta è il risparmio delle indennità e la riduzione della casta. Due ragioni inaccettabili e infondate. Anzitutto, perché la democrazia ha un costo (a ben vedere sempre minore della dittatura) e, dunque, i fondi, destinati ad inverarla, sono sempre ben spesi. Secondariamente, la casta è, per sua natura, conventicola, gruppo ristretto e pertanto si avvantaggia della limitazione delle espressioni democratiche. Se si pensa che molta parte del lavoro parlamentare, compresa l’approvazione di leggi senza il passaggio in aula, si svolge in commissione, si capirà come la riduzione dei parlamentari fa sì che in quelle sedi più ristrette il numero di chi decide si riduce drasticamante, favorendo accordi sotto banco e altri traffici piccoli e grandi.

L’Italia è il paese dove tutto si aggiusta a seconda delle maggioranze e dei “gusti” dei vincitori: la legge elettorale varia in continuazione (proporzionale, maggioritario, sbarramento), Parlamento modificato senza cambiare le norme collegate. Un cantiere sempre aperto senza certezze per i cittadini?

Sì è un cantiere aperto e molto confuso. L’aspetto più grave è però che nel vortice tutti i partiti mettono la Costituzione, che invece dovrebbe essere sacra. Negli USA è ancora quella della Dichiarazione dell’indipendenza di fine Settecento. Ci sono stati solo i cosiddetti emendamenti, che l’hanno adeguata al mutar dei tempi, migliorandola (abolizione della schiavitù, voto alle donne ecc.). In Italia, la Carta bisognerebbe attuarla, non modificarla. Per quanto riguarda la materia elettorale la vicenda andrebbe definita con una legge proporzionale, al più con uno sbarramento ragionevole. Le piccole forze sono sempre un bene per la democrazia e il dibattito pubblico.

Una presenza parlamentare sarda così ridotta potrà essere equilibrata da un rafforzamento dell’autonomia speciale?

Non credo che il deficit di rappresentanza parlamentare dei sardi sia recuperabile con la riforma dello Statuto. Intanto perché questa non c’è, e non è alle viste. Bisogna tener conto dei territori. Qui il deficit democratico è drammatico. Le Province sono diventate enti non elettivi, manca, dunque, la rappresentanza intermedia, i Comuni hanno un sistema elettorale che tarpa le ali alla partecipazione e alle opposizioni; i Comuni, un tempo palestre di democrazia e di formazione politica, sono ridotti ad arida e ottusa amministrazione senza slancio, senza anima. La perdita da parte di tanti territori della rappresentanza parlamentare li rende afoni, privi di voce nelle sedi decisionali, rende asfittica la già triste vita locale. Ora si tenga conto che la rappresentanza vuol dire che le esigenze delle periferie sono introdotte nei circuiti istituzionali, che le assemblee elettive hanno in sé forze anche piccole, ma stimolanti, innovative, pattuglie rappresentanti di interessi e tematiche minori. Tutto questo rischia di essere perso in nome di un fantomatico risparmio.

Allora, in vista del 29 marzo, iniziamo a riflettere sul taglio, pensando alla nostra città, alla nostra zona, alla Sardegna e chiediamoci: la scure è utile alla nostra democrazia o no? La risposta a questo quesito, e solo questa, dovrà guidare la nostra mano nel votare SÌ o NO.

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