Un piccolo ingranaggio nella grande partita del Mediterraneo

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Il governo Conte ai titoli di coda blocca l’export delle bombe in Arabia, affari milionari e intrecci diplomatici sullo sfondo  

di Giampaolo Atzei

La decisione del governo di revocare le autorizzazioni per l’esportazione di missili e bombe verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ha una portata storica, trattandosi della prima concreta applicazione della legge 185/1990. Ora, considerato il duro colpo inferto proprio alle produzioni della RWM, si apre il problema della sopravvivenza dello stabilimento. Come già si è detto in altre occasioni, dalla politica ci si attendono soluzioni, non solo decisioni sanzionatorie, peraltro adottate nel pieno di una crisi di governo dalla difficile evoluzione e in un contesto dove si rischia di far pagare alla parte più debole il conto speso da altri. Più parti hanno sottolineato come alcune delle commesse belliche revocate siano riconducibili al governo di Matteo Renzi, l’uomo chiave della crisi che ha condotto alla caduta del secondo esecutivo guidato da Giuseppe Conte. E guarda caso, proprio mentre stava deflagrando la crisi nella maggioranza, Renzi finiva al centro di una forte polemica per le sue attuali e interessate relazioni con l’Arabia Saudita ed il governo assumeva la decisione di sospendere l’export trovando un coraggio distratto per decenni. Forse stiamo parlando di cose che non sono legate tra loro secondo principi di causa-effetto, forse, in ogni caso è una serie di elementi che giova ricordare per capire su che terreno si gioca una partita con interessi in campo spaventosamente enormi: la settimana scorsa è andata in fumo una commessa da 411 milioni di euro, giusto per capirci.
Un blog bene informato di questioni internazionali, Remo Contro, diretto dall’ex inviato RAI Ennio Remondino, consegna una testimonianza che ci tocca da vicino e aiuta a capire ancor meglio. Con un articolo pubblicato lo scorso 31 gennaio, si racconta di un’inchiesta giornalistica sui retroscena della liberazione del giornalista tedesco di Die Welt, Deniz Yücel, detenuto in Turchia: nel 2018 il governo Merkel ottenne la liberazione del giornalista che aveva mobilitato l’opinione pubblica della Germania e da allora la Turchia, con strana coincidenza, monta sui propri carri armati Leopard-2 delle corazze “sorprendentemente simili” a quelle prodotte dalla tedesca Rheinmetall. “Tutti innocenti e ora indignati” scrive Remo Contro, ma i cronisti di Stern e della tv pubblica Ard hanno mostrato documenti che sembrano togliere i residui dubbi, come l’immagine di un carro armato con il nuovo sistema di protezione prodotto dalla società turca Rokestan “sorprendentemente simile” al modello della Ibd Deisenroth, impresa con sede a Bonn, partner commerciale dal 2007 di Rheinmetall, ovvero la stessa azienda di armamenti proprietaria dello stabilimento RWM. Tutte le parti in causa negano un coinvolgimento diretto, tuttavia, conclude l’articolo, “resta quindi ancora da ricostruire la catena di comando politico-istituzionale tedesca dietro all’aggiornamento dei carri armati dell’esercito di Erdogan. Rimane da sapere, cioè, chi ha avvallato la fornitura bellica che tre anni dopo la liberazione del giornalista di Die Welt (detenuto per 367 giorni in carcere in Turchia fino a febbraio 2018) si configura come contropartita del suo rilascio”. Diritti umani contro tecnologia militare made in Germany, suggerisce l’inchiesta. E una nota multinazionale coinvolta nella vicenda. Nulla di nuovo si dirà, qualcosa di “sorprendentemente simile” al parallelo tra diritti umani e lavoro, si potrebbe replicare. Anche in questo caso nulla di nuovo, è sempre guerra tra poveri. E i ricchi incassano.
Nello scacchiere geopolitico del Mediterraneo, pensando al futuro di una realtà come la RWM nella valle del Cixerri, rimane così la percezione di essere appena un piccolo ingranaggio in meccanismi troppo complessi per riuscire a condizionarne il movimento. Ecco perché rimane un dovere, anzi un obbligo, per la Politica, trovare soluzioni alla crisi di una realtà produttiva il cui destino si intreccia pesantemente con le scelte di indirizzo internazionale adottate con responsabilità da un governo legittimo. Anche perché il lavoro deve essere “libero, creativo, partecipativo e solidale” ci ha ricordato papa Francesco. Prima di tutto libero. Magari a partire da una piccola valle in un’isola nel cuore del Mediterraneo. GA

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