Sulcis Iglesiente, serve un nuovo modello di sviluppo

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San Giovanni Suergiu - DSB rit

Ritorno della provincia e analisi della crisi, prosegue il dibattito. Intervista a don Salvatore Benizzi, direttore diocesano della pastorale sociale

Ufficio diocesano problemi sociali e lavoro
A cura di Manolo Mureddu

È sempre più intenso il dibattito sul futuro del Sulcis Iglesiente, alla luce della crisi economica post Covid-19, della povertà dilagante, dell’emigrazione e immigrazione forzate, del disimpegno dello Stato, del depotenziamento dei servizi e delle riforme avviate in ambito regionale per la ricostituzione delle province (abolite con i referendum del 2012) e delle aziende sanitarie. Nell’intervista che segue, con il direttore dell’ufficio pastorale dei problemi sociali e del lavoro, don Salvatore Benizzi, abbiamo ragionato sull’attualità e le prospettive di rilancio economico-sociale del Sulcis Iglesiente.

Don Benizzi, qual è il suo giudizio sulla crisi che ormai avvolge interamente il territorio?
È innegabile che viviamo una delle più profonde crisi economiche dal dopoguerra a oggi. Con la differenza che adesso, rispetto al passato, non si ha la percezione di un miglioramento e una prospettiva di cambiamento per il futuro. Si è inceppato l’ascensore sociale e si è interrotto quel patto generazionale che consentiva alle nuove generazioni di giovani di ambire a un miglioramento tangibile rispetto ai propri genitori. Oggi non solo questo non accade più, ma sono proprio i padri e i nonni a garantire la sopravvivenza delle famiglie ormai allargate ai figli e nipoti.

Perché si è arrivati a questa situazione?
Attualmente la crisi economico-sociale è amplificata dall’emergenza sanitaria. Ma già precedentemente la situazione era gravissima a causa della chiusura delle grandi realtà produttive nel polo industriale di Portovesme (fra cui spicca l’ancora irrisolta vertenza ex Alcoa) e il fallimento dei progetti di riconversione implementati negli altri settori economici. La chiave di volta per rilanciare il territorio dovrà obbligatoriamente passare, così come abbiamo voluto ribadire anche nell’ultima celebrazione della “giornata del creato” (tenutasi nell’ottobre 2019 a San Giovanni Suergiu), dalla realizzazione di nuovi modelli di sviluppo, economicamente e ambientalmente sostenibili, basati sul turismo, l’agroalimentare, la pesca e l’artigianato di qualità. Il Piano Sulcis, che finora si è dimostrato scarsamente incisivo, potrebbe essere, se rilanciato e potenziato, uno strumento importante in tal senso.

Per realizzare ciò servirebbe anche una maggiore presenza dello Stato che, nelle sue diverse articolazioni, negli anni si è spesso disimpegnato ingenerando un depotenziamento generalizzato dei servizi…
È indispensabile che lo Stato ritorni a investire risorse economiche proprie e proceda all’infrastrutturazione del territorio. Senza concreti interventi su più livelli, ad esempio sulle strade per realizzare una viabilità degna di tale nome, nonché per l’ottenimento di trasporti funzionanti ed economicamente accessibili ai turisti o per far finalmente arrivare il metano e colmare il gap di competitività con la penisola, ma anche in assenza di una legge di governo del territorio coraggiosa e con vincoli chiari e certi e un consorzio di bonifica che risponda pienamente alle esigenze degli agricoltori, ogni progetto di rilancio potrebbe risultare inefficace.

Con il ritorno della provincia, della cui ricostituzione si inizierà a discutere concretamente il prossimo 3 agosto in Consiglio Regionale, si afferma che il territorio avrà nuovamente restituito quello strumento di rappresentanza politico-istituzionale in grado di programmare i processi economici e sociali. Concorda?
Il disegno di legge in discussione in Regione, inizialmente promosso dall’On. Giorgio Oppi e sostenuto anche dai consiglieri regionali Fabio Usai e Michele Ennas, va nella direzione di restituire un ente intermedio nuovamente coerente con le peculiarità geografiche, storiche, economiche e sociali del territorio. A differenza dell’obbrobrio rappresentato dall’attuale provincia del Sud Sardegna, con ben 107 Comuni in gran parte lontani e diversi nelle principali caratteristiche, immersi in un immenso territorio di pertinenza e con scarse risorse economiche. L’auspicio è che il nuovo ente diventi un contenitore con piene competenze, un’adeguata dotazione finanziaria, e soprattutto che sia percepito dai Comuni come un organo di raccordo sul quale puntare per realizzare una pianificazione economica territoriale che superi i campanilismi e dia una risposta generale alle istanze ed esigenze provenienti dalle comunità del Sulcis Iglesiente. In definitiva è indispensabile avere un ente che sia capace di programmare i processi politico-economici e allo stesso tempo di fungere da attrattore per gli investimenti pubblici e privati, senza venir meno al proprio ruolo di rappresentanza del territorio nei confronti della Regione e dello Stato.

Con la provincia tornerà anche l’azienda sanitaria locale. Riaverla nel territorio sarà sufficiente a riconquistare i servizi ospedalieri persi con le riforme degli anni scorsi?
Una sanità efficiente e funzionale ai bisogni dei cittadini è il prerequisito per ogni progetto di rilancio sociale del Sulcis Iglesiente. Soprattutto è fondamentale per garantire una qualità di vita adeguata alle persone. Dopo anni di tagli e servizi depotenziati, è necessario invertire la rotta. Ma per fare ciò è indispensabile che la nuova azienda sanitaria abbia reali competenze gestionali ed economiche. Solo in questo modo chi avrà potere di gestire i processi sanitari potrà rimodellare i servizi all’utenza con logiche decentrate e realmente rispondenti alle esigenze di chi vive nel territorio.

Un’ultima domanda: in questi anni spesso si è sentito dire che il fenomeno dell’immigrazione irregolare sia un elemento di diseconomia per il Sulcis Iglesiente. Al punto che da più parti, soprattutto in ambito politico, si è fatto strada lo slogan: “vogliamo turisti e non immigrati”. È davvero così?
Ogni cristiano dovrebbe tenere bene a mente l’insegnamento evangelico dell’accoglienza. Tanto più in un’isola nella quale il Santo Patrono, Antioco, di fatto, era un medico originario del nord Africa esiliato e perseguitato nel Sulcis per via della sua opera di evangelizzazione. Quanti migranti oggi sono perseguitati in patria da oppressori o dalla miseria e perciò obbligati all’esilio? Ovviamente il fenomeno dell’immigrazione irregolare andrebbe governato meglio e con serietà. Nondimeno, in ogni parte della terra, andrebbero costruite le condizioni affinché gli esseri umani non siano obbligati a emigrare per sopravvivere o ricercare una vita dignitosa.

Ma nel caso specifico del nostro territorio siamo davvero sicuri che l’immigrazione sia un fenomeno così ampio e pervasivo da recare problemi economici e sociali?
Se guardiamo i dati reali ci accorgiamo di no: in totale da inizio anno si sono verificati, nella costa che intercorre da Cagliari fino ai principali punti d’approdo del Sulcis, oltre 40 sbarchi di piccoli natanti per un totale di 583 persone (dati ufficiali della Questura) giunte nell’isola perlopiù dall’Algeria. Tutte intercettate e accolte nei centri d’accoglienza senza particolari problemi di ordine pubblico o che siano stati in alcun modo riscontrati gravi quanto imminenti pericoli per i cittadini autoctoni. 583 persone rispetto a 1.650.000 di residenti in Sardegna, ossia, statisticamente parlando, una percentuale irrisoria. Tanto più se pensiamo che la stragrande maggioranza di essi transita nell’isola con l’obiettivo di approdare altrove. In conseguenza a ciò sarebbe molto meglio evitare deleterie quanto pericolose strumentalizzazioni, utili solo ad accentuare l’insofferenza delle persone già duramente colpite dalla crisi economico-sociale, ed essere più responsabili e concreti nell’analisi e nella risoluzione dei problemi.