Nessuna complicità con chi produce strumenti di morte!

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di Roberto Sciolla

Queste righe vengono da Iglesias, nel cui territorio comunale è situata una fabbrica (RWM Italia) che produce bombe utilizzate in una guerra in atto. Crediamo però che quanto scriviamo non possa essere circoscritto alla nostra sola città. Esse toccano tutti i sardi e, ancora, tutti gli italiani.
La nostra regione, infatti, oltre alla produzione diretta di armi, è interessata dall’occupazione di molte porzioni del suo territorio in “servitù militari”. Come italiani, poi, se non bastasse il chiarissimo articolo 11 della Costituzione (“l’Italia ripudia la guerra”), una specifica legge (185/1990)  proibisce che delle armi vengano vendute a paesi che mettono in atto delle guerre. Tale è il caso della sopra citata fabbrica, il cui principale insediamento produttivo insiste in territorio dei comuni di Iglesias e Domusnovas.
Non c’è poi bisogno di insistere molto per ricordare come tutto questo ci tocchi come cristiani, come chiesa sarda. Ci tocca tanto nei valori che sono chiamati in causa, quanto nel contributo che dobbiamo alla nostra comunità ecclesiale, alla nostra gente, alla nostra società.
I valori? Senza dubbio, in primo luogo, quello della vita. Non solo non ci fa onore ma, se anche non fosse contro la legge, come cristiani dovremmo avvertire l’iniquità di una fabbrica che con tale produzione contribuisce direttamente alla morte di migliaia di persone: stiamo parlando della guerra attualmente in atto in Yemen, dove l’Arabia Saudita (che compra le armi prodotte in casa nostra) bombarda indiscriminatamente i civili.
Il valore-pace è direttamente legato a quello della vita. Non solo non si deve uccidere, ma si deve operare perché la vita delle persone e dei popoli possa essere vissuta in condizioni che ne favoriscono serenità e sviluppo. Lo Yemen è una nazione poverissima; di tutto ha bisogno, meno che di bombe!
Siamo poi sollecitati al valore-lavoro. Ed è questo il pretesto usato finora da quanti vogliono la conservazione di questa fabbrica così com’è, produttrice di bombe. Lo sappiamo, il diritto al lavoro confligge spesso con l’interesse economico, per vari motivi. Uno, macroscopico, quello della salute. Il caso più noto è forse quello dell’Ilva di Taranto. Un altro interesse economico fortissimo è quello legato alle armi: ahimè, anche i paesi più poveri del mondo (pensiamo all’Africa!), pur mancando di scuole, di ospedali e di infrastrutture importanti, purtroppo non mancano di armi!
Ebbene, lo dobbiamo dire con chiarezza: siamo per il lavoro! Ma non per un lavoro che, per far vivere noi (con le briciole, per giunta; i lucrosi guadagni sono delle multinazionali delle armi, come nel caso della RWM), provoca morte di altri. La ragione per cui non avvertiamo questo stridere sta nel fatto che, se il lavoro è vicino, la guerra, la morte e le distruzioni sono lontane. Ben altra sensibilità avremmo se le stesse bombe cadessero indiscriminatamente sulle nostre case, chiese, scuole e ospedali! Non risponde assolutamente al vero che la RWM è in crisi e deve licenziare operai (quelli non interinali sono sotto i 100!). per un anno lo Stato italiano ha proibito la vendita delle bombe all’Arabia Saudita; ebbene, questa multinazionale (che nel mondo ha molte sedi produttive e non produce solo armi) ha avuto autorizzazione al raddoppio della fabbrica, con potenzialità triplicate di produzione! Dove sta la crisi? È un vero e proprio ricatto per fare affari sulla morte della gente.
Ecco perchè non contro il lavoro, ma contro questo lavoro dobbiamo batterci! Si può riconvertire! Riconvertire in opere che rispettano la natura, che sono al servizio della pace, della vita!
E qui viene da chiederci: ma che popolo siamo, che amministratori abbiamo se vogliamo basare il nostro sviluppo su industrie di morte? Possibile che dobbiamo desiderare che permangano o che aumentino le guerre in nome di qualche posto di lavoro?
La nostra regione ha ben altre possibilità: turismo, cultura, storia, ambiente, … Il popolo sardo non merita di essere strumentalizzato a tal punto.
Come chiesa lo dovremmo chiedere a gran voce. Dovremmo promuovere il convergere virtuoso di università, formazione professionale, imprese, società civile, governanti, in una parola delle nostre migliori energie per un futuro diverso.
E quando diciamo come chiesa, intendiamo i pastori (vescovi e sacerdoti) ma tutti i battezzati, tutti gli operatori della società che si dicono cristiani. 
Lo sappiamo, è un cammino non facile. La lobby delle armi è potente ovunque nel mondo.
Non è una buona ragione per non fare il nostro dovere. E questo comporta diverse cose.
In primo luogo, la denuncia: dobbiamo dire a chiare lettere come chiesa sarda che un lavoro che produce morte non può essere accettato. Comporta inoltre che noi favoriamo il convergere delle risorse migliori della nostra terra, come si diceva sopra. Comporta che chiediamo a chi ha responsabilità politiche e amministrative di orientare decisamente in altra direzione lo sviluppo della nostra regione.
E forse anche, come chiesa, potremmo fare qualcosa in prima persona: perchè non pensare ad investire risorse umane e non solo (un Progetto Policoro ad hoc, ad esempio) in azioni alternative di sviluppo?
Ma la questione fondamentale sta nell’impegno a rendere convintamente coscienti le nostre comunità ecclesiali, sacerdoti in primis, dei valori della vita e della pace non in astratto ma nell’impegno quotidiano.

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