
Dall’Istat il ritratto di una società in trasformazione. Età media degli sposi sempre più alta, crescono le convivenze e il rito civile supera ormai quello religioso
di Annalisa Atzei
Con le nascite in picchiata a registrare ogni anno un nuovo record negativo, cosa accade agli italiani quando si parla di matrimonio? Insieme agli altri indicatori, l’Istituto Nazionale di Statistica ha presentato a fine 2019 la situazione in Italia rispetto all’andamento dei matrimoni dal 2008 al 2018. Al netto di oscillazioni che negli ultimi anni hanno fatto registrare una lieve ripresa del numero delle celebrazioni, alcuni dati accompagnano in maniera inequivocabile un cambiamento al passo con i tempi, in particolar modo allineato allo scenario demografico del Paese.
Partendo da un quadro generale che abbraccia tutto il territorio nazionale, l’Istat rileva come negli ultimi dieci anni il numero delle prime nozze (matrimoni tra nubili e celibi) sia diminuito di oltre 55 mila unità, con il minimo storico registrato nel 2017. Nel 2018 di nuovo un segno positivo: in Italia sono stati celebrati 195.778 matrimoni, circa 4.500 in più rispetto all’anno precedente (+2,3%), ma prosegue la tendenza a sposarsi sempre più tardi. Attualmente gli sposi al primo matrimonio hanno in media 33,7 anni e le spose 31,5, un fenomeno legato alla contrazione delle nascite che a sua volta determina la riduzione della popolazione tra i 16 e i 34 anni. Le seconde nozze, o successive, dopo una fase di crescita rilevata negli ultimi anni, dovuta anche all’introduzione del “divorzio breve”, rimangono stabili rispetto all’anno precedente, con una incidenza sul totale dei matrimoni del 19,9%. Ancora l’Istat segnala come la diminuzione dei primi matrimoni sia da mettere in relazione in parte anche con la progressiva diffusione delle libere unioni: queste infatti, dal 1998 al 2018, sono più che quadruplicate incidendo in maniera notevole anche sulla scelta di creare famiglie con figli. L’incidenza di bambini nati fuori del matrimonio è in continuo aumento: nel 2017 quasi un nato su tre ha i genitori non coniugati. In alternativa al matrimonio, oltre la scelta delle libere unioni, in crescita anche il numero delle convivenze prematrimoniali, le quali, insieme ad altri fattori, contribuiscono al rinvio delle nozze a un’età più matura. Nel 2018 i matrimoni in cui almeno uno dei due sposi ha 65 anni o più costituiscono ancora una quota residuale rispetto al totale dei matrimoni, ma la proporzione è più che raddoppiata rispetto al 2008 sia per gli uomini che per le donne.
Il 2018 è anche l’anno che segna, per la prima volta nella storia, il sorpasso del rito civile su quello religioso, con i primi al 50,1% del totale delle unioni, a fronte del 49,5% dell’anno precedente. Il sorpasso non riguarda però le prime nozze, ma si riferisce al dato totale dei matrimoni celebrati; se si considerano, infatti, solo le persone che contraggono matrimonio per la prima volta, sono le nozze all’altare ancora a prevalere su quelle in comune, che si mantengono al 31,3% delle unioni. È invece forte il divario territoriale: al Nord la quota di matrimoni con rito civile è del 63,9%, mentre al Sud sfiora appena il 30 per cento (30,4%). La crescita del rito civile, secondo l’Istituto di statistica, è sicuramente condizionata dall’aumento delle seconde nozze (che dal 13,8% del totale nel 2008, sono salite al 19,9% nel 2018) e dalle unioni in cui almeno uno degli sposi è straniero, circa il 17% del totale dei matrimoni. Se ampliamo lo scenario di riferimento al quadro europeo, secondo uno studio Eurostat che prende in esame il numero di matrimoni per mille abitanti, l’Italia è penultima su 30 paesi esaminati, con 3,2; peggio di noi solo la Slovenia. Al primo posto la Lituania con 7,5, tra i primi dieci posti Danimarca, Svezia e Ungheria, dodicesima la Germania, tutti paesi in cui sia gli aspetti culturali che gli interventi dello stato sociale aiutano i giovani a diventare presto autonomi e a sposarsi, registrando percentuali anche doppie rispetto all’Italia.
Cosa succede invece in Sardegna? I dati diffusi dall’Istat, solo a livello provinciale, confermano quello che ormai da anni si va delineando in maniera sempre più precisa: matrimoni in ribasso e sorpasso del rito civile su quello religioso. Dal 2008 al 2018 nell’isola si è registrato un calo dei matrimoni del 34,7%, oltre 2500 celebrazioni. Ad aver avuto la peggio i matrimoni in chiesa, che in appena dieci anni si sono praticamente dimezzati, passando da 4.449 nel 2008 ad appena 2.233 nel 2018 (-49,8%); più o meno stabili quelli civili con una perdita di circa 11 punti percentuali. In crescita, come a livello nazionale, il numero delle famiglie e delle convivenze, soprattutto le prime caratterizzate da nuclei familiari composti da una singola persona. Interessanti i dati a livello provinciale sui matrimoni: considerando ancora il 2018, in Sardegna sono stati celebrati in tutto 4.789 matrimoni (il 2% del totale nazionale), in prevalenza con rito civile, circa il 53%; nella provincia Sud Sardegna, la quale include i comuni della diocesi di Iglesias, si sono unite in matrimonio 982 coppie (circa il 20% del totale regionale), di cui 56 solo nel capoluogo. Anche in questo caso è il rito civile a prevalere su quello religioso, un dato confermato in tutte le province sarde tranne che a Nuoro, in cui resiste una prevalenza del rito in chiesa col 58%.