La CISL sarda di fronte alla crisi, economica e sociale, dell’Isola e le prospettive del PNNR presentato da Mario Draghi
Una riflessione che vada oltre la semplice valutazione dei finanziamenti previsti per la Sardegna dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. È quello che chiede la CISL sarda, con una nota diffusa nei giorni scorsi, dove si evidenzia come l’Isola, indipendentemente dalle conseguenze provocate dalla pandemia, non ha recuperato il divario economico e sociale che da decenni la distanzia dalle regioni del centro-nord e dal dato medio della Unione Europea. Permangono inalterate le criticità strutturali della regione, solo intaccate sia dal Piano di Rinascita che dalla programmazione europea. “Si pensi all’autonomia finanziaria, e, alla vertenza sulle entrate malamente chiusa, al costo della sanità e del trasporto pubblico locale interamente a carico della Regione, alla continuità territoriale che dovrebbe essere garantita in toto dallo Stato, al costo energetico di famiglie e imprese, ben superiore rispetto alle altre regioni del Paese, a un sistema dei trasporti interni inadeguato per i cittadini e per le imprese” mette in evidenza il sindacato, chiedendosi cosa “c’è dunque di più e di diverso nel PNRR, rispetto al Piano di Rinascita e ai Fondi strutturali, in grado di intaccare positivamente le antiche e attuali diseconomie e di rimuovere i lacci e i lacciuoli di un rapporto con lo Stato che deve essere superato quanto a poteri e competenze?”.
Le sfide sono tante, dai beni culturali, alle necessarie compensazioni e riconoscimenti per la dimensione insulare che penalizza cittadini e imprese, passando per digitalizzazione e mobilità sostenibile.
“Da un esame del PNRR non si evince un’attenzione particolare alle specifiche situazioni geografiche, storiche, economiche e sociali della Sardegna – si legge nel documento -. Rispetto anche alle altre regioni del sud, che pure non vengono trattate come una priorità per affrontare l’irrisolta questione del divario con il centro- nord, la Sardegna appare del tutto residuale su interventi decisivi per l’economia, come ad esempio le per ora citazioni riguardanti la mobilità e i trasporti. Il riequilibrio territoriale tra le diverse aree del Paese è poco presente, non solo come riflessione da cui partire per avviare una strategia e per dosare interventi e risorse, ma anche per incidere realmente su uno dei problemi che storicamente frena l’economia e lo stesso sistema Paese, incidendo negativamente sul lavoro, sulla qualità della vita e delle istituzioni, sulla giustizia e sulla sicurezza. È per questo che su inclusione, spopolamento e crisi demografica la trattazione risulta non coerente rispetto all’esigenza di garantire le priorità laddove si evidenzia una purtroppo lunga e consolidata questione sociale e una grave crisi dell’economia e del lavoro”.
Poca Sardegna dunque nel Piano? Di chi la responsabilità? “La Giunta regionale non ha saputo precedere l’approvazione del PNRR da una riflessione adeguata e puntuale sullo stato della questione sarda, ne sulle proposte necessarie ad affrontarla, per poi trasmetterle al Governo, previo coinvolgimento delle rappresentanze sociali, economiche e degli Enti Locali” continua la nota, argomentando che “il Governo nazionale ha approvato un PNRR certamente con una complessa architettura programmatoria e attuativa, ma senza affrontare alcuni dei nodi che storicamente incidono sui ritardi e sulle difficoltà del Paese: il Meridione, il problema insulare, la qualità dei trattamenti sanitari e del diritto alla salute presenti in maniera differente le varie regioni, solo per fare alcuni esempi”.
C’è molta disillusione di fronte alle promesse, si sottolinea ancora, specialmente nel credere che le Regioni sappiano “spendere la loro quota parte di risorse”. Nel caso sardo, “come anche la storia recente insegna, è illusorio pensare di affrontare i problemi economici e sociali dell’Isola prescindendo da una strategia condivisa, senza aver sciolto i nodi riguardanti la continuità territoriale delle persone e delle merci, i costi della insularità, il potenziamento della viabilità, dei trasporti interni ed esterni all’isola, l’efficienza del sistema Regione e i tempi di attuazione dei programmi e progetti. Non appare ancora chiaro in che modo, con quali progetti e in quale misura, la digitalizzazione, la rivoluzione verde, la mobilità sostenibile, e, cosi tutte le sei missioni individuate, possano aiutare la Sardegna a rilanciare lo sviluppo e il lavoro e a recuperare i divari con le aree più forti del Paese e dell’Europa. Si ha l’impressione che vengano fatte salve le indicazioni e le prescrizioni dell’Unione Europea, una correttezza formale che fa salve le procedure, ma forse non affronta in radice le peculiarità oltre il sistema, come una sorta di “abito buono per tutte le taglie”. Sono certo accattivanti i titoli e gli obiettivi delle sei missioni individuate, ma per ora non è visibile quanto di tutto questo potrà concretamente incidere sulle diseconomie esistenti nell’Isola, in presenza del vuoto strategico che caratterizza l’azione della Regione”.
“È naturale, persino utile, che in questi frangenti ci si interroghi sulle esperienze storicamente maturate in altri momenti, sia a livello europeo che nazionale e regionale, per fronteggiare le crisi e per rilanciare lo sviluppo e il lavoro” – prosegue la nota, ricordando il Piano Marshall che nel dopoguerra trasferì circa 1 miliardo e mezzo di dollari dagli USA all’Italia, corrispondente al 9,2% del Pil di quegli anni, non molto meno della percentuale sul Pil di oggi delle risorse che utilizzerà l’Italia con il Recovery Fund. “Gli aiuti del Piano Marshall furono però per la gran parte a fondo perduto, diversamente da quelli che oggi arriveranno invece in buona parte a debito” osservano dal sindacato, precisando che “non ci furono interventi per salvare imprese decotte. I risultati furono eccellenti sia sul versante del reddito che su quello della produzione, delle esportazioni e del consumo interno”. L’altra esperienza storica di Piano per fronteggiare le difficoltà dello sviluppo e della economia della Sardegna fu il Piano straordinario per favorire la Rinascita economica e sociale, in attuazione dell’articolo 13 della Legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, un riferimento utile, quello statutario, sottolinea la CISL, “per quel che riguarda l’utilizzo delle risorse che la Sardegna dovrebbe attrarre attraverso l’utilizzo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”. La Legge 588 prevedeva una spesa a carico dello Stato di 400 miliardi di lire distribuiti in tredici esercizi, dal 1962-63 al 1974-75. Come è andata a finire è nell’esperienza di tutti, purtroppo il contenzioso tra gli organi regionali e statali, insieme ai limiti delle capacità progettuali e realizzative delle classi dirigenti dell’Isola, portarono a risultati ben inferiori rispetto alle attese.
“L’insegnamento che si può trarre da queste esperienze storiche – conclude la nota della CISL – è che conta, naturalmente, la qualità delle leadership che governano e attuano i Piani, dunque le risorse umane oltre a quelle finanziarie, la tempestività delle scelte e dunque una limitazione all’eccessivo peso della burocrazia, la partecipazione democratica e il coinvolgimento sia in fase di programmazione che di attuazione della mediazione sociale. Decisiva poi la finalizzazione degli interventi su obiettivi che garantiscano insieme il rilancio produttivo e la competitività delle imprese, con un articolato sistema e inclusivo di tutele per le politiche attive e passive del lavoro, attraverso un cooperante e non competitivo coordinamento tra le diverse istituzioni locali e nazionali, la definizione chiara del carattere aggiuntivo delle risorse del Piano rispetto a quelle ordinarie, il recupero delle disparità territoriali. In sintesi dunque, si tratta di mettere insieme capacità di governance, competitività e produttività del sistema, garantendo insieme equilibrio degli interventi e giustizia sociale. Come già avvenne per l’esperienza della Legge di Rinascita, al di là delle difficoltà insorte in corso d’opera, occorre che la Giunta Regionale recuperi con urgenza una capacità di proposta forte ed unificante per tutti i Sardi sui temi dello sviluppo, del lavoro e della coesione sociale, proposta per la quale è oggi indispensabile, come lo fu allora, aprire una stagione di confronto e partecipazione delle parti sociali e di tutte le istanze rappresentative, con l’obiettivo di definire, insieme al Governo Nazionale e alla stessa Europa, un nuovo e concertato patto per lo sviluppo in Sardegna”.