Religione, solidarietà, attenzione al Creato e diritti delle donne nelle società di mutuo soccorso di Carloforte tra ‘800 e ‘900
di Nicolo Capriata
Tra i principali aspetti che hanno caratterizzato la vita sociale di Carloforte nella seconda metà dell’Ottocento c’è sicuramente da annoverare la costituzione di numerose associazioni di mutuo soccorso. In poco più di un cinquantennio, da quando nel 1855 venne istituita la Società di Sant’Erasmo ne sorsero ben 13. Nel 1895, secondo un censimento del M.A.I.C. (Ministero Agricoltura Industria e Commercio) erano 10 le Società presenti a Carloforte e che complessivamente vantavano 1242 soci. Un numero enorme, praticamente tutta la forza lavoratrice isolana era iscritta alle diverse società considerando che la cittadina in quegli anni non superava i 7000 abitanti. Ma era un numero considerevole anche nel contesto del mutualismo sardo. Nello stesso censimento risultava infatti che in Sardegna, Carloforte compresa, esistevano 68 società di mutuo soccorso e che i suoi aderenti ammontavano a 7060 soci.
Tutte queste società, che sorsero come s’è detto in un breve spazio di tempo, fossero laiche come l’Operaia di Mutuo Soccorso o d’ispirazione religiosa come la Società Sant’Erasmo, perseguivano le stesse finalità che innanzitutto erano quelle di promuovere “la moralità, la fratellanza e il mutuo soccorso nelle svariate sue forme tra i soci” e di erogare ai soci sussidi, in caso di malattia o di inabilità al lavoro e pensioni per la vecchiaia, quest’ultimo fatto era sicuramente avveniristico, tant’è che solo due società a Cagliari ed una a Sassari erogavano rette per la vecchiaia. Erano comunque escluse da questi sussidi le malattie veneree o quelle provocate dall’abuso di alcol e le affezioni traumatiche causate da risse. Del resto non potevano essere ammessi alla società coloro che erano “dediti al vizio del giuoco, all’ubriachezza e vanno distinti pel mal costume” come recitava l’articolo 10 dello statuto della Società Sant’Antonio Nuovo (1883) che fu la prima società contadina di ispirazione cattolica sorta in Sardegna e che tra l’altro nei suoi regolamenti conteneva un principio che non può non stupire perché precorreva abbondantemente i tempi, sarebbe diventato moderno e di attualità solo negli ultimi decenni del Novecento. Tra le norme che i soci dovevano osservare vi era infatti quella di essere “proibito di maltrattare i buoi sia con percosse che in altri modi” e nello stesso tempo era vietato “farli lavorare con l’aratro o col carro” quando erano ammalati o feriti. Chi contravveniva a queste norme, veniva multato con un’ammenda che variava a seconda dei casi da due a cinque lire.
Un’altra autentica perla di modernità ci viene offerta dalla “Società delle Operaie Cattoliche di Sant’Anna”. Già dalla intitolazione si evince che questa associazione era costituita da sole donne che per l’epoca, siamo nel 1906, ed era una rarità, se non addirittura unica. (Forse giova ricordare che i primi veri sussulti del mondo femminile in campo nazionale si ebbero nell’ultimo periodo della prima guerra mondiale). La società femminile era costituita da “stivatrici” ossia addette all’inscatolamento del tonno. Ma la sua modernità non consisteva solo nel fatto che fosse tutta “rosa”. Tra gli scopi previsti nello Statuto-Regolamento della Società oltre a quelli di accrescere lo spirito religioso, la moralità dei costumi e di assistere le socie ammalate vi era quello di “di procurare possibilmente il collocamento delle socie disoccupate, il componimento delle controversie fra operaie e padroni e ogni miglioramento ragionevole delle condizioni economiche delle ascritte”. Forse mai, prima di allora in Sardegna, queste finalità, furono espresse in modo così netto e preciso da una associazione femminile. Da aggiungere a queste particolarità che oltre alla somministrazione dei sostegni finanziari, le società carlofortine, si prefiggevano di favorire l’istruzione con l’istituzione e l’organizzazione di scuole serali per i soci analfabeti nelle quali come stabiliva l’articolo 111 della Società Operaia di Mutuo Soccorso si prevedeva “l’insegnamento della lettura e scrittura, le prime quattro operazioni dell’aritmetica, il sistema metrico decimale, le prime nozioni di geografia e i diritti dell’uomo”.
La fraternità e la solidarietà erano i punti di partenza, i principi base di ogni società mutualistica che venivano rivolti ed estesi a tutti, al di là dell’appartenenza o meno all’associazione. A favorire queste forme di associazioni sicuramente contribuirono i continui contatti che i carlofortini tenevano per via dei traffici commerciali, con i paesi della Liguria e della Toscana dove il mutualismo vi era fiorente e recepirne la struttura e i modelli non fu cosa difficile. Ma soprattutto perché, come più di un antropologo ritiene, (ma non sarebbe neanche il caso di scomodare l’antropologia) è spiccato il senso di sostegno e di cooperazione tra i membri di una comunità isolata come sono per l’appunto quelle delle piccole isole e solidarietà e fratellanza erano, come s’è detto, i cardini su cui ruotava e poggiava tutto il mutualismo, che però fu incapace di superare gli schemi del vicendevole aiuto e questo fu il limite del mutualismo (non solo carlofortino). Tuttavia le associazioni di mutuo soccorso rappresentarono il punto di passaggio dalla concezione un poco corporativistica e autoassistenziale del lavoro alla elaborazione dei diritti degli stessi lavoratori. Esse spianarono la strada, ed è un aspetto importante anche se non tangibilmente evidente, alle rivendicazioni dei lavoratori, alla formazione delle leghe e delle associazioni operaie.