Ottobre missionario. Nella diocesi l’impegno delle comunità religiose femminili delle Figlie di San Giuseppe e delle Suore di San Tommaso
di Valeria Carta
Cosa rimane quest’anno del Mese Missionario? Sembrerebbe solo una scatola vuota al centro di una navata in attesa che qualcuno la riempia di offerte. Il coronavirus, che non attacca solo il corpo, ma troppo spesso anche la mente, avebbe potuto spegnere la speranza dei tanti paesi che aspettano un aiuto. Eppure in tutte le chiese lo scorso 18 ottobre, giorno scelto per festeggiare la giornata missionaria mondiale, si è cercato di fare qualcosa per i più deboli ed emarginati perché, nonostante tutto, i bisogni delle persone non possono essere messi in pausa. La tentazione di non far nulla quest’anno era tanta, vista anche l’impossibilità, forse, di agire come avremmo voluto, o semplicemente con una questua “tradizionale”. Per questa ragione, chiaramente quella scatola al centro della navata rappresenta il “tutto” che potevano fare, ossia la nostra capacità di “stare sempre in piedi e di non mollare”.
Probabilmente sulla scia del “cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”, le varie realtà diocesane non hanno rinunciato a quello che prima di tutto è un bisogno cristiano: amare il prossimo.
Con questo atteggiamento anche le suore Giuseppine di Iglesias, sebbene non possano riunire il proprio gruppo di lavoro, continuano a sostenere i bambini di Malipur. Nel centro abitato indiano le Figlie di San Giuseppe operano da diversi anni, sia con centri per l’educazione e la formazione, sia nell’assistenza diretta ai più bisognosi. Ma il prossimo obbiettivo da raggiungere è quello di donare al centro sanitario, con il reparto di maternità, un gruppo elettrogeno che consenta alle apparecchiature di funzionare correttamente e di utilizzare un condizionatore d’aria. Nel dispensario operano tre infermiere e una suora medico che verranno “aiutate a distanza” anche dalle signore che collaborano con le suore giuseppine e insieme alle quali, “in tempi normali”, proprio in questo periodo avrebbero organizzato la mostra missionaria annuale. Niente di tutto questo. Ma guardare il bicchiere mezzo vuoto, sarebbe un inganno. Le restrizioni sanitarie hanno rallentato semplicemente la manifestazione esteriore di quello che è l’impegno missionario quotidiano. Rimane viva, tuttavia, la volontà di aiutare il prossimo, soprattutto i più poveri. La maggior parte delle missioni delle giuseppine sono in zone poverissime, soprattutto del Sud America. Le suore portano la spesa nelle famiglie, altre sono infermiere, ognuna da il proprio contributo materiale in una terra nella quale la gente è talmente disperata che fruga nell’immondizia delle famiglie più ricche.
Poiché è un “cuore di madre” quello che Dio ha donato alle donne consacrate, ogni suora appartenente alla congregazione fondata da Don Felice Prinetti, sperimenta la maternità nel servizio del prossimo. Così come un’altra comunità femminile che opera ad Iglesias oramai da alcuni anni. Le suore di San Tommaso infatti, vivono una “missione doppia” che sperimentano in prima persona, essendo arrivate loro stesse dall’India al santuario della Madonna delle Grazie, ma che hanno saputo trasformare anche in missio ad gentes. Dal Sulcis infatti continuano a prendersi cura dei bambini che vivono negli orfanotrofi gestiti dalla comunità in India. Il progetto di adozione a distanza, partito quasi due anni fa, è riuscito a mettere in relazione alcune famiglie del nostro territorio con i bambini indiani, che non aspettavano altro che qualcuno che desiderasse sostenerli nel loro cammino. Certo, l’emergenza sanitaria, che ha colpito in maniera grave l’India, non ha lasciato tutti indifferenti. Il Covid in queste realtà si è aggiunto a un quadro già critico di degrado sociale ed economico. Non è stato semplice attraversare questi mesi di pandemia con il pensiero che, dall’altra parte del mondo, una figlia viveva in uno dei paesi più colpiti dal virus, costretta in casa per paura del contagio.
Come queste, tante altre missioni della Chiesa aspettano il nostro aiuto. Quella scatola dalla quale abbiamo iniziato è rimasta li, al centro della navata, a rappresentare la solidità di una missione alla quale non possiamo rinunciare, nemmeno nel bel mezzo di una pandemia. Come ha annunciato Papa Francesco in occasione del messaggio per la giornata missionaria mondiale 2020: “La missione è risposta, libera e consapevole, alla chiamata di Dio”. Chiediamoci se “siamo pronti ad accogliere la presenza dello Spirito Santo nella nostra vita, ad ascoltare la chiamata alla missione”. Dobbiamo restare fedeli alla “nostra missione”, nonostante tutto, senza mai arrenderci e ci stupiremo a vedere che è nell’aiutare gli altri che troviamo la forza per andare avanti.