Alla fine è arrivata l’attesa fumata bianca. Il parere contrario della Soprintendenza paesaggistica non è stato considerato un ostacolo vincolante, quantomeno al punto di impedire il riavvio dell’Eurallumina. Così, una volta concluso l’iter che ora vede coinvolti Rusal e istituzioni, lo stabilimento di Portovesme potrà riprendere la produzione e fare uscire dal limbo degli ammortizzatori sociali centinaia di lavoratori con le loro famiglie.
Non sono mancate le polemiche, sui giornali, sui social, nelle strade. Da una parte l’attesa per una ripresa produttiva che potrebbe ridare ossigeno all’economia del sud-ovest sardo e coraggio agli imprenditori dell’indotto. Dall’altra, le perplessità di chi ritiene che il Sulcis Iglesiente abbia già pagato un prezzo troppo alto, in termini di salute, morti di tumore, inquinamento, rapina delle materie prime, per confidare ancora nella scelta industriale. Purtroppo, è un compromesso drammatico, che ripropone oggi la bontà di scelte operate cinquant’anni fa, quando si volle insistere sull’opzione industriale, invece di cambiare strada e percorrere vie di sviluppo alternative, oggi diremmo “sostenibili”.
Ora, pensare di chiudere di botto le fabbriche, buttare le chiavi e riconvertire d’emblée i lavoratori è un esercizio poco onesto intellettualmente. Non si può ignorare che un operaio, specialmente di mezza età, non è un robot che si può programmare e trasformare da meccanico a fornaio nel giro di una notte. Egualmente, se in questo territorio è già difficile trovare un’azienda per fare un tirocinio, meglio non pensare a cosa possa essere una riconversione. Le risposte le conosciamo. Dicono che qui nel Sulcis Iglesiente abbiamo poco di che lamentarci, se si facesse il conto di quanti soldi pubblici sono stati concessi al territorio, in tanti anni, dovremmo avere i rubinetti d’oro nelle case… Dicono che i progetti per le bonifiche sono pronti, che le alternative alle industrie esistono, che si può fare di più e meglio… Dicono che, in fin dei conti, la colpa è nostra! Tutto vero magari, tutto condivisibile: vorremmo tutti vivere di mare, terra e turismo, in un ambiente sano e salubre, mettendo da parte l’inquinamento e le industrie. Però è anche vero che le industrie non sono polvere che nascondi sotto il tappeto, che se i soldi per le bonifiche ci sono e si devono spendere, allora spiegateci perché tutto ciò non si fa. E perché questa lentezza ci opprime? Perché devono passare anni per capire se una fabbrica deve riaprire? Perché convocare una Conferenza di servizi con 23 soggetti istituzionali se poi nemmeno si tiene conto di chi è contrario? Perché nessuno ci spiega come mai in tutti questi anni il turismo qui non decolla? È colpa del maestrale? È davvero colpa nostra se riaprire le industrie e scendere a patti con la tutela del creato, perché di ciò si tratta, rimane una scelta obbligata?
Insomma, va bene ogni dibattito e confronto, ma che sia costruttivo, che sia capace di conquistare tempo, non farne perdere altro. Ma soprattutto che sia un confronto onesto, basta con le passerelle politiche, gli annunci trionfanti e i troppi mesti passi indietro. A noi ci basterebbe che il lavoro fosse sempre dignitoso e libero, creativo e solidale, come ci esorta Francesco. Con queste poche regole rispettate, andrebbe tutto meglio. È una formula semplice, nel rispetto dell’uomo e del creato, della sua intelligenza, con i piedi ben ancorati sulla terra che ci nutre. È così difficile?