Fratelli nella fede, divisi dalle armi

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La guerra in Ucraina vista dalla Russia. Da Mosca la testimonianza dell’iglesiente Giovanni Guaita, sacerdote ortodosso nel centro della capitale

di Giampaolo Atzei

“Non ho paura perché penso che un sacerdote, un cristiano, una persona deve rendere conto prima di tutto alla propria coscienza, a Dio e alla storia. C’è un ordine logico di sottomissione. Certamente un cristiano riconosce l’autorità dello Stato, ma sa che ci sono anche autorità superiori che sono quelle della coscienza e di Dio”. Sono le parole di Giovanni Guaita, sacerdote e monaco della Chiesa ortodossa russa, originario di Iglesias, che esercita il suo ministero presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano in pieno centro di Mosca. Padre Ioan, raggiunto in Russia dalla giornalista del SIR Maria Chiara Biagioni che ha raccolto le sue dichiarazioni, è uno degli autori di una lettera aperta, firmata da 300 chierici ortodossi russi, che chiedono la pace e l’interruzione del conflitto in Ucraina. Una posizione coraggiosa, considerando le ultime iniziative prese dal governo russo per limitare e controllare il dissenso. È stato stabilito un reato di diffusione di false notizie che prevede fino a 15 anni di detenzione. Questa “diffusione di false notizie” può, per esempio, essere semplicemente l’utilizzo della parola “guerra” anziché “operazione militare” riferendosi ai fatti in Ucraina. La Federazione russa prevede inoltre la confisca dei beni degli stranieri residenti in Russia nel caso in cui ledano gli interessi dei cittadini russi e dello Stato. Una decisione che ha messo i giornalisti stranieri e i corrispondenti in grandissimo allarme.
Giovanni Guaita ha confidato di vivere le notizie che arrivano dall’Ucraina “come tanti cittadini russi, con grande tristezza, con grande dolore. Sono fatti gravissimi. Per un cristiano poi è tanto più grave se si considera che gli ucraini sono fratelli nella fede e fedeli della stessa chiesa ortodossa russa del Patriarcato di Mosca”.

a view of ivan the great bell tower in moscow kremlin
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In Occidente hanno colpito prima il silenzio del Patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill, poi le sue “ragioni” del conflitto in Ucraina, spiegate dal punto di vista russo. In una lunga lettera al Consiglio mondiale delle Chiese, organismo ecumenico con sede a Ginevra di cui la Chiesa ortodossa russa fa parte dal 1961, il Patriarca ha scritto che “questo conflitto non è iniziato oggi”, dicendosi “fermamente convinto che i suoi iniziatori non siano i popoli di Russia e Ucraina, che provengono dal fonte battesimale di Kiev, sono uniti in una fede comune, hanno santi e preghiere comuni e condividono uno stesso destino storico. Le origini del confronto risiedono nei rapporti tra Occidente e Russia”. Nell’analisi di Kirill “negli anni ’90 alla Russia era stato promesso che la sua sicurezza e dignità sarebbero state rispettate. Tuttavia, col passare del tempo, le forze che consideravano apertamente la Russia come loro nemica si avvicinarono ai suoi confini. Anno dopo anno, mese dopo mese, gli Stati membri della Nato hanno rafforzato la loro presenza militare, ignorando le preoccupazioni della Russia che queste armi un giorno potessero essere usate contro di essa”. Oltre alle accuse rivolte alle forze politiche che hanno lavorato per “rendere nemici i popoli fraterni – russi e ucraini”, il patriarca russo chiama in causa “lo scisma ecclesiastico creato dal patriarca Bartolomeo di Costantinopoli nel 2018” quando ha riconosciuto l’autonomia della Chiesa ortodossa ucraina dal Patriarca di Mosca. Nella sua analisi, Kirill torna al 2014, “quando il sangue veniva versato a Maidan a Kiev e ci furono le prime vittime”. “Fu allora – ricorda il Patriarca – che scoppiò un conflitto armato nella regione del Donbass, la cui popolazione difendeva il proprio diritto a parlare la lingua russa, chiedendo il rispetto della propria tradizione storica e culturale. Tuttavia, le loro voci sono rimaste inascoltate, così come migliaia di vittime tra la popolazione del Donbass sono passate inosservate nel mondo occidentale”. “Questo tragico conflitto è diventato parte della strategia geopolitica su larga scala, volto, in primo luogo, a indebolire la Russia”, prosegue il Patriarca di Mosca. “E ora i leader occidentali stanno imponendo sanzioni economiche alla Russia che saranno dannose per tutti. Rendono palesemente ovvie le loro intenzioni: portare sofferenze non solo ai leader politici o militari russi, ma in particolare al popolo russo”. Nei giorni precedenti aveva destato scalpore un sermone durante il quale, secondo quanto riportato dalle agenzie, Kirill avrebbe affermato che “ciò che sta accadendo oggi nell’ambito delle relazioni internazionali, quindi, non ha solo un significato politico. Stiamo parlando di qualcosa di diverso e molto più importante della politica. Si tratta della salvezza umana, di dove andrà a finire l’umanità”. “Siamo entrati in una lotta che non ha un significato fisico, ma metafisico” avrebbe aggiunto il patriarca, dopo avere argomentato sulla necessità di lottare contro i modelli di vita promossi dalle parate gay, espressione dell’Occidente.
Giovanni Guaita precisa al SIR come l’atteggiamento delle Chiese ortodosse e quello della Chiesa cattolica rispetto alla autorità laica di qualsiasi Stato siano diametralmente opposti, eredi di percorsi storici bene diversi. “Quando, dopo la presa di Roma, è finito l’Impero Romano d’Occidente non c’è più stato un potere laico a Roma per tantissimo tempo e il Papa si è trovato nelle condizioni di doversi assumere anche una responsabilità politica e di dover conciliare nel bene e nel male il potere spirituale con quello temporale – ha detto padre Ioan – Anche quando questa autorità laica è comparsa, con l’incoronazione di Carlo Magno, l’imperatore si trovava comunque molto lontano e il papato ha continuato a svolgere un ruolo politico molto forte. A Costantinopoli è avvenuto esattamente il contrario perché per mille anni dopo la presa di Roma il Patriarca è stato gomito a gomito con l’imperatore. Non c’era alcuna necessità che svolgesse un ruolo politico ed era anzi totalmente sottomesso all’imperatore cristiano, che convocava i concili, combatteva le eresie, destituiva i vescovi. Questa eredità storica è molto pesante. Bisogna poi pensare che le chiese ortodosse sono chiese nazionali e quindi identificate con un certo popolo, una certa cultura, un certo territorio e anche con chi governa il paese in questione. Ancora oggi è molto difficile evitare questa identificazione”.
Ma di fronte ad un popolo martoriato e massacrato, popolo legato tra l’altro alla tradizione e alla chiesa ortodossa russa, perché è così difficile per il Patriarca Kirill dire una parola di orrore, vicinanza, solidarietà? “Il Patriarca Kirill si trova a capo di una chiesa che vive in Ucraina, ma anche in Russia e in Bielorussia – risponde Giovanni Guaita – dunque, si trova in una posizione estremamente delicata, difficile e scomoda. Io personalmente – ma anche tanti altri nella chiesa, sia laici che sacerdoti e probabilmente anche vescovi – desidereremmo una maggiore presa di posizione, più netta e più esplicita. Direi che fin qui è stata una parola piuttosto implicita. Il Patriarca ha chiesto di pregare per la pace e di porre fine a qualsiasi violenza. Avremmo gradito qualcosa in più. Il metropolita di Kiev Onofrio, a guida della chiesa ortodossa ucraina dello stesso Patriarcato di Mosca, è stato molto più esplicito, rivolgendo un accorato appello a Putin, oltre che a tutti i fedeli. Ma la Chiesa non è soltanto il Papa o il Patriarca e i metropoliti. La Chiesa è: dove due o più sono uniti nel nome di Gesù Cristo. Quindi anche le opinioni e i desideri dei fedeli sono in certo senso opinioni e desideri della Chiesa. Credo che sia una questione di tempo. C’è una opinione pubblica anche all’interno della chiesa che sta maturando e che sta a mio avviso crescendo. Ma è per ora minoritaria”.
Una maturazione che avrà tempi lunghi, riconosce il sacerdote iglesiente. “La Chiesa è nella storia. È figlia della propria storia e del proprio popolo e cresce insieme al popolo. Si vorrebbe che questo cammino di maturazione sia molto più veloce ma bisogna fare i conti con la realtà. Sono sicuro che la massa critica di persone per le quali la giustizia, la verità, la pace, sono concetti fermi, non suscettibili ad essere messi in discussione per vantaggi politici o strategici, stia aumentando. Se guardiamo al testo biblico, a Dio bastano dieci giusti per salvare una città”.
Inevitabile temere quanto i fatti recenti potranno ledere il dialogo ecumenico. “A me preoccupa soprattutto il fatto di essere all’altezza della nostra chiamata, più che davanti alla società ecumenica – conclude Giovanni Guaita – e mi preoccupa cosa i nostri fedeli pensano e penseranno. Se ci mettiamo in un’ottica storica mi chiedo: cosa in futuro si scriverà di noi e di questi avvenimenti? È una domanda molto seria che dobbiamo porci. Mi preoccupa molto anche il fatto che la Chiesa ortodossa russa sia capace di formare la coscienza delle persone, aiutandole a distinguere il bene dal male. Perché una Chiesa che non fa questo vive in uno stato grave di malattia. Prego e spero che non sia così”.

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Pubblicato su “Sulcis Iglesiente Oggi”, numero 10 del 20 marzo 2022

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