Coronavirus, l’Italia riunita nella zona rossa

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Roma, 15 marzo 2020.Roma nei tempi del Coronavirus.
Roma nei tempi del Coronavirus.

Emergenza Covid-19. Le disposizioni di Governo e Regione contro la diffusione del virus, gli arrivi dal Continente nelle seconde case

di Annalisa Atzei

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Saranno giorni difficili quelli che l’Italia intera dovrà vivere sino al 3 aprile, data in cui, salvo ulteriori provvedimenti delle prossime settimane, cesseranno le restrizioni imposte dal nuovo Decreto della Presidenza del Consiglio del 9 marzo 2020 che interessano non più solo la “zona rossa” nelle aree del nord Italia, ma l’intero territorio nazionale. Riprendendo le parole pronunciate dal premier Giuseppe Conte, nella notte tra il 7 e l’8 marzo, in occasione della firma e dell’immediata pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del primo decreto, senza eccezioni ogni singolo abitante è chiamato a essere un cittadino responsabile, non solo per tutelare la propria salute e ridurre il più possibile la diffusione del Covid-19, ma anche e soprattutto per salvaguardare tutto il Paese, in particolare le fasce in questo momento più fragili e a rischio. E così, mentre il Presidente del Consiglio invitava gli italiani a “non fare i furbi”, contemporaneamente centinaia di persone preparavano frettolosamente le valigie e si recavano nelle stazioni e negli aeroporti per raggiungere le regioni del sud e le isole, ancora non blindate. Un comportamento irresponsabile che, unito alla leggerezza con cui soprattutto i giovani hanno continuato la vita di sempre, ha portato nella notte del 9 marzo alla firma del premier sul nuovo decreto con cui il Consiglio dei Ministri ha esteso a tutte le regioni le restrizioni delle aree rosse.
La Sardegna, tra le mete prescelte dai cittadini in fuga già dalle settimane precedenti, è stata una tra le regioni maggiormente coinvolte dall’arrivo di coloro che nell’isola possiedono una casa al mare e dal rientro in massa di tanti sardi emigrati al nord per studio o per lavoro. Il provvedimento da parte della Regione Sardegna non si è fatto attendere e il presidente Christian Solinas, già nella giornata di domenica, emetteva un’ordinanza in cui sono state messe in chiaro le disposizioni a seguito dell’emergenza relativa al virus Covid-19 nell’isola e a cui ne ha fatto seguito una seconda ancora più stringente: in particolare il documento, considerati i decreti ministeriali e accertato che i casi positivi nell’isola sono tutti riconducibili a persone provenienti da aree già interessate dal contagio, ordina con potere retroattivo la quarantena a tutte le persone provenienti dalle zone rosse arrivate nei 14 giorni precedenti l’8 marzo e a tutti coloro che faranno ingresso in Sardegna dai porti e dagli aeroporti insieme all’obbligo di dichiarare il proprio domicilio alle autorità sanitarie e alla necessità di rendersi sempre rintracciabili per qualunque controllo.
La Sardegna è stata tra le prime regioni ad attuare controlli più severi, oltre i limiti già indicati dal Governo, dopo che il Presidente Solinas ha proposto allo stesso Governo per due volte di poter attuare un emendamento al decreto, col quale avrebbe consentito la chiusura per venti giorni di tutti gli arrivi nell’isola. Il Governo entrambe le volte ha respinto la richiesta, riservandosi di rivalutarla ed eventualmente accoglierla qualora la situazione dovesse ulteriormente peggiorare, ma intanto Alitalia ha subito predisposto dei tagli mantenendo un solo volo al giorno da e per Linate negli aeroporti di Cagliari e Alghero. Se da una parte la Sardegna, e in particolar modo le zone costiere, si ripopola come in estate, dall’altra i guadagni della stagione turistica sfumano giorno dopo giorno: nel comparto ricettivo, alla data del 9 marzo, le disdette arrivavano già al 70%, mentre il traffico nel solo aeroporto di Cagliari rispetto allo stesso periodo di un anno fa già registra oltre il 40% in meno. Dati allarmanti che si sommano alle preoccupazioni e al pericolo causato dalla malattia, non tanto per la mortalità in sé quanto per le criticità che una sua ulteriore diffusione comporterebbe al nostro servizio sanitario, probabilmente non in grado di garantire ai malati le dovute cure nei giusti tempi. Allo sdegno per il grande esodo verso l’isola, ha fatto poi seguito la paura e anche i sardi hanno manifestato le prime prevedibili reazioni legate al timore di dover vivere a lungo segregati in casa senza neanche la possibilità di approvvigionarsi dei generi di prima necessità.

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Carloforte e Porto Pino, riaprono le seconde case di chi fugge dal nord
Nel territorio della diocesi di Iglesias, nel suo piccolo, si sono riprodotte esattamene le stesse dinamiche proposte dai media a livello regionale e nazionale. Seconde case occupate come in estate a Carloforte e Porto Pino mentre, nelle catene della grande distribuzione, l’assalto agli scaffali è la prima emergenza, ancora non arrestata, messa in atto dagli abitanti del Sulcis Iglesiente. Le persone sfidano il coronavirus pur di garantirsi la dispensa piena. Sino a martedì mattina tutti i market registravano incassi uguali o addirittura superiori alla media; al loro interno il personale indossa guanti e mascherine mentre per la clientela sono state disposte delle marcature sul pavimento per tracciare le distanze da rispettare specie in prossimità delle casse. Tutte le amministrazioni comunali, attraverso i canali social ufficiali e i siti web hanno divulgato l’adesione alle disposizioni emanate col decreto ministeriale e l’ordinanza regionale disponendo le misure a tutela dei dipendenti e degli utenti; l’invito è quello di rivolgersi agli uffici preliminarmente tramite i numeri di telefono e via mail. Disposte anche la chiusura di biblioteche, musei e siti. Sospese dunque tutte le visite ai siti come Porto Flavia e Grotta Santa Barbara a Iglesias e al nuraghe Seruci a Gonnesa. Alcuni comuni, come Carloforte, hanno predisposto anche una diretta in streaming per informare i cittadini sia dei provvedimenti che delle misure igienico sanitarie da rispettare. Chiusi anche i cinema, ma prima del’8 marzo le proiezioni nelle sale di Carbonia e Iglesias avevano già subito delle restrizioni nella programmazione settimanale. Nelle farmacie, negli ambulatori, alle poste e negli uffici pubblici si entra solo dopo aver ricevuto un numero e rispettato l’ordine di arrivo. Tutti attendono il proprio turno a distanza di almeno un metro e possono entrare sino a un massimo di due persone per volta. Per quanto riguarda la ristorazione, molti locali già da inizio marzo avevano ridotto il numero dei coperti per garantire le giuste distanze, da domenica molte pizzerie hanno optato solo per la consegna a domicilio e alcuni gestori hanno introdotto questo servizio gratuitamente, soprattutto dove gli spazi destinati ai tavoli sono meno ampi; i ristoranti sushi sia a Carbonia che Iglesias hanno invece scelto subito di chiudere direttamente per qualche settimana, così come alcuni pub.
Chiusi almeno sino a metà mese anche i negozi gestiti da proprietari cinesi: inizialmente erano rimasti aperti e il personale indossava le mascherine, successivamente è arrivata la decisione di tenere direttamente abbassate le serrande. Tutti si ingegnano per mantenere il fatturato attivo e a Iglesias anche una libreria propone la consegna a domicilio gratuita ai propri clienti.
Naturalmente annullate o rinviate a data da destinarsi tutte le manifestazioni e gli eventi previsti sino al 3 aprile in cui sarebbe stato inevitabile l’assembramento di persone e l’impossibilità a mantenere le distanze di sicurezza, tra queste le celebrazioni civili e religiose previste per la riapertura della Basilica a Sant’Antioco; annullate invece tutte le manifestazioni di preambolo alla Settimana Santa organizzate dall’Arciconfraternita del Santo Monte di Iglesias. Rinviato al 31 ottobre anche il Trail del Marganai, evento sportivo che si sarebbe dovuto svolgere a Buggerru il prossimo 15 marzo. AA