Presentata in consiglio regionale la proposta per ricostituire l’ente abrogato dal referendum nel 2012, dibattito aperto su opportunità e rischi
di Giampaolo Atzei
A poco meno di vent’anni dalla prima legge che istituiva la provincia di Carbonia Iglesias, la proposta di un nuovo ente intermedio fa nuovamente capolino nel panorama istituzionale regionale. In mezzo, durante quattro lustri, sono rimaste tante speranze (spesso deluse), un referendum abrogativo e una riforma delle autonomie regionali che non ha prodotto i frutti attesi. E fu così che lo scorso 23 giugno, quattro consiglieri di maggioranza – Giorgio Oppi (UDC), i leghisti Michele Ennas e Dario Giagoni e il sardista Fabio Usai – hanno presentato al Consiglio regionale della Sardegna la proposta di legge n. 176 per l’istituzione della nuova Provincia del Sulcis Iglesiente.
Tecnicamente si tratterebbe solo di apportare alcune modifiche all’articolo 25 della legge regionale 4 febbraio 2016, n. 2, con cui si riordinava il sistema delle autonomie locali della Sardegna, in realtà però c’è molto di più. Il progetto è parte di un dibattito politico che si è aperto da tempo nell’Isola sul ripristino di alcune province abbattute dal referendum del 2012 che vedeva nelle province un inutile centro di potere e di spesa pubblica, uno dei simboli della “casta” e del parassitismo politico che ha portato al successo movimenti populisti ed espressione dell’antipolitica. Il quesito proposto all’epoca dai Riformatori esprimeva un generale sentimento di sfiducia e superamento dell’istituzione provinciale. Anche la riforma costituzionale proposta da Renzi proponeva l’abolizione delle province in tutta Italia, dopo che queste erano state svuotate di rappresentatività, trasformandole in assemblee di amministratori locali eletti senza un voto popolare.
La riforma delle autonomie locali. In Sardegna, nel 2016, al tempo della giunta Pigliaru venne licenziata una riforma che faceva (parzialmente) tesoro del mandato referendario e proponeva una nuova organizzazione sul territorio. Sparivano le province nate nel 2001 (Carbonia Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia Tempio), tutte segnate dall’esistenza di un doppio capoluogo e da un nuovo crescere di uffici dislocati e assunzioni: si era infatti arrivati al paradosso di una regione con appena 1,6 milioni di abitanti e 12 capoluoghi di provincia (gli otto nuovi più i quattro storici: Cagliari, Nuoro, Oristano e Sassari), elementi che ebbero il loro peso tra gli argomenti che condussero all’abrogazione dei nuovi enti ad appena un decennio dalla nascita. Al loro posto tornarono le vecchie quattro storiche province, con prefettura, questura e camera di commercio: sola eccezione, nel sud dell’Isola l’area metropolitana di Cagliari divenne ente a parte, lasciando nella provincia del Sud Sardegna (con capoluogo “provvisorio” a Carbonia) tutto il resto, da Carloforte a Muravera. Una delle scommesse della riforma sarebbe dovuta essere l’Unione dei Comuni, un organismo che avrebbe dovuto aggregare amministrazioni tra loro prossime per la gestione unitaria di servizi di pubblico interesse, come rifiuti o polizia locale, ma la mappa interattiva del sito SardegnaAutonomie descrive impietosamente i larghi vuoti rimasti, con numerosi Comuni che non vi hanno mai aderito. In pratica, un mezzo fallimento.
Insieme alla risorta provincia del sud-ovest, in Consiglio regionale si parla anche dell’area metropolitana di Sassari e delle province di Gallura e Ogliastra, riconoscendo a questi territori una loro specificità economica e sociale – se non anche l’isolamento, come nel caso ogliastrino – che ne giustificano l’autonomia locale: la nascita del nuovo ente, negli auspici promotori, andrebbe verso il recupero di democrazia e partecipazione rispetto a centri decisionali distanti, nella difficoltà di un modello sviluppo omogeneo ed effettiva espressione di un particolare contesto amministrativo, sociale e culturale.
La proposta di legge. Su queste basi si articolano i cinque articoli della proposta di legge. La prima novità che si nota leggendo la proposta agli atti è il nome: la vecchia provincia di Carbonia Iglesias lascerebbe il posto a quella del Sulcis Iglesiente, riprendendo però l’esatta circoscrizione territoriale della precedente, con i 23 Comuni di Buggerru, Calasetta, Carbonia, Carloforte, Domusnovas, Fluminimaggiore, Giba, Gonnesa, Iglesias, Masainas, Musei, Narcao, Nuxis, Perdaxius, Piscinas, Portoscuso, San Giovanni Suergiu, Santadi, Sant’Anna Arresi, Sant’Antioco, Tratalias, Villamassargia e Villaperuccio, per complessivi 126.324 abitanti, oltre 54.000 nuclei familiari in un territorio di 1.495 kmq. Conseguenza della nascita del nuovo ente sarebbe la soppressione dell’Unione dei comuni del Sulcis, Metalla e il mare e Arcipelago del Sulcis, ritrasferendo le funzioni e i compiti degli enti soppressi alla provincia. Iglesiente. Altro déjà-vu il doppio capoluogo, con le città di Carbonia e Iglesias egualmente insignite di questo ruolo.
Nodi irrisolti. Fin qua la proposta. Ora dovrà cominciare il confronto, nel territorio, nell’agone politico del Consiglio regionale. Come hanno osservato alcuni analisti, come il costituzionalista Andrea Pubusa nell’intervista pubblicata sul numero 26 di “Sulcis Iglesiente Oggi”, sembra mancare sinora un progetto di riforma complessivo, in cui inquadrare la rinascita delle province periferiche, oltre i quattro capoluoghi storici. La stessa proposta di legge, che dovrà poi armonizzarsi in Consiglio con quelle delle altre province, parte dal presupposto della sottrazione alla presente provincia del Sud Sardegna dei 23 Comuni della vecchia provincia abrogata. La domanda, che nasce spontanea, è cosa fare di quel che rimarrebbe della Sardegna meridionale sottratta l’Ogliastra, il nostro territorio e l’area metropolitana di Cagliari. Peraltro, all’unicità storica del Sulcis – richiamata nella relazione dei proponenti e che si riconosce appieno nel territorio della diocesi di Iglesias – si oppone il fatto che Teulada sia esclusa dalla nuova provincia. Se vent’anni ciò aveva un senso, perché Teulada preferì rimanere con Cagliari, invece che con Carbonia e Iglesias, adesso che il capoluogo regionale fa storia a sé con l’area metropolitana, quale sarebbe il suo destino? Avrebbe ancora senso ragionare, come sembrava proporsi, su una provincia del Sud-Ovest che da Guspini scende a Teulada, allargandosi ad est sino a Vallermosa e Siliqua?
Altro aspetto controverso sono i costi. I promotori della nuova provincia sostengono che dalla sua istituzione “non derivano nuovi o maggiori oneri per il bilancio regionale”. Sarà davvero così? Lo si disse anche per le precedenti province, poi però furono fatte centinaia di assunzioni e i costi in realtà crebbero.
Insomma, ci sono tutti gli elementi – e la consapevolezza della passata esperienza – perché se la provincia debba rinascere, lo faccia su basi nuove, concrete e in quadro riformista organico. Ciò che serve a questo territorio, come all’intera Sardegna, è un modello di sviluppo nuovo, sostenibile, aderente ai tempi e votato al futuro, con una sua concreta traduzione in termini amministrativi e istituzionali. Ciò che non servono, sono invece soluzioni vecchie a problemi egualmente vecchi: il superamento del clientelismo, la politica di rendita personale, la gestione del territorio, i trasporti locali, la cultura da sostenere, lo sviluppo e la riconversione, la tutela ambientale e la promozione del turismo.