Le forze sindacali chiamano alla mobilitazione generale per le gravi emergenze della Sardegna: rotti gli indugi si scende in piazza
di Mario Girau
Entro metà marzo sarà mobilitazione generale regionale di lavoratori e pensionati. Cgil, Cisl e Uil, davanti al lungo silenzio della Giunta e ad atti di governo ritenuti non rispondenti alle gravi emergenze della Sardegna, hanno rotto gli indugi e deciso di scendere in piazza: in quella reale con sit in, presidi, assemblee all’aperto e in quella virtuale con il ricorso a tutte le opportunità dei social. Se anche dopo questa mobilitazione non dovessero arrivare le risposte attese, si passerà allo sciopero generale. Un aiuto organizzativo in questo senso potrebbe venire dalla collocazione dell’isola in quella zona sanitaria “bianca” che consente maggiore libertà di movimento.
Cgil, Cisl e Uil intendono così spronare Giunta e maggioranza, finora sembrati indisponibili al confronto, a una svolta, di metodo e contenuto, nelle relazioni con le parti sociali. La loro azione – dicono i sindacati – “si è finora caratterizzata per il suo profilo autoreferenziale e divisivo, imponendo a tutti le decisioni assunte senza condivisione e spazi veri di mediazione”. Questo atteggiamento secondo i confederali provoca “una debolezza programmatica spaventosa e una sostanziale incapacità attuativa che si manifestano con dati allarmanti su tutti gli indicatori sociali ed economici, nelle misure insoddisfacenti e spesso dannose con cui è stata gestita l’emergenza sanitaria ed economica, nello schianto dei servizi pubblici, dalla sanità alla scuola ai trasporti e nella semiparalisi della macchina amministrativa della Regione, che si riverbera negativamente anche sulle Autonomie locali”.
I sindacati vivono con gli iscritti le difficoltà quotidiane prodotte da un Pil pari al 70% della media europea, da una ripresa economica che tarda ad arrivare causa Covid, ma che quando si farà sentire con l’atteso “rimbalzo” postpandemia difficilmente supererà +1%, a fronte di una previsione nazionale pari al +3,2%. Nel biennio 2020-2021, l’economia sarda potrebbe far registrare uno dei risultati peggiori nel panorama regionale italiano: -8,9% il PIL previsto per il 2021 rispetto al livello del 2019.
Anche l’ultimo report Caritas non invita all’ottimismo. Nell’Isola, nel 2019, si trovavano in condizioni di povertà relativa circa 94.000 famiglie (rispetto alle 141.000 del 2018): come a livello nazionale, tale decremento potrebbe essere spiegato con la fruizione delle due misure di sostegno economico, di cui godono, nel complesso, oltre 50mila nuclei di beneficiari (oltre 100.000 persone coinvolte), con un importo medio erogato pari a 526,87 euro riguardo al Reddito di cittadinanza e a euro 250,10 per la Pensione di cittadinanza. Tale miglioramento, tuttavia, si giustifica – secondo Caritas Sardegna – più sul piano della disponibilità dei redditi associati ai consumi delle famiglie piuttosto che della base produttiva nel suo complesso. Uno scenario che si è modificato bruscamente a causa della pandemia da COVID-19: nel primo semestre del 2020, infatti, si è registrata una diminuzione del PIL del 12,0% a livello nazionale; a livello regionale, gli effetti del confinamento dovuti all’emergenza sanitaria hanno messo fortemente in discussione i segnali di riequilibrio dell’economia, facendo emergere, tra le categorie più esposte alle conseguenze economiche dell’emergenza, giovani e lavoratori precari.
Cgil Cisl e Uil ritengono imprescindibile avviare il confronto con la Giunta sulle scelte per lo sviluppo economico e sociale, sulle misure di sostegno ai lavoratori, ai soggetti più deboli e alle famiglie, sulla programmazione delle risorse ordinarie e aggiuntive messe a disposizione dallo Stato e dall’Ue per la ripresa così come sulle riforme necessarie ad ammodernare e rendere più efficienti i servizi pubblici universali e l’amministrazione regionale.
“Riteniamo indispensabile – aggiungono i sindacati – una revisione del metodo e della sostanza nella programmazione e nelle politiche economiche e finanziarie, a partire dal programma generale di sviluppo dentro il quale occorre contestualizzare le nuove risorse del quadro finanziario pluriennale, del programma Next Generation Eu, dei fondi nazionali e regionali”. Ai sindacati non è piaciuto che siano venuti fuori da un magico cilindro oltre 200 progetti, per un importo complessivo di oltre 7 miliardi di euro da finanziare col Recovery fund, senza quell’atteso e opportuno coinvolgimento delle forze sociali, culturali, imprenditoriali nella progettazione dell’ammodernamento delle strutture materiali e immateriali della Sardegna. Da questi progetti dipende, infatti, il riequilibrio dell’isola con altre aree del Paese e d’Europa sugli svantaggi competitivi legati all’insularità e il recupero dei ritardi in fatto di istruzione, formazione professionale e tecnologie.
“Si tratta di scelte sulle quali occorre massima condivisione e coinvolgimento, perché incideranno – dicono Cgil, Cisl e Uil – sul mondo del lavoro, sull’intera società sarda e sulle future generazioni: per queste ragioni il sindacato unitariamente non può che reagire e rivendicare un radicale cambio di atteggiamento e di sostanza nell’azione politica e amministrativa della Regione”.