Con la prima storica visita di un Pontefice, la Sardegna registra l’inizio di una nuova fase di crescita e trasformazione
di Gianfranco Murtas
Si potrebbero dire, della visita sarda e cagliaritana di Paolo VI del 24 aprile 1970, molte cose, alcune sul piano strettamente spirituale e religioso, altre sul piano sociale, altre ancora sul piano evangelico-umanitario (per il conforto dato ai malati riuniti alla Fiera ad iniziativa dell’UNITALSI) o su quello tutto ecclesiale (per l’incontro con il presbiterio diocesano nel nuovo seminario di Cagliari sul colle di San Michele). Qui vorrei soltanto accennare all’incidenza che quella visita ebbe, a mio parere, sul piano insieme identitario regionale e su quello “pubblicitario”, o della pubblica ricezione, a pro di Cagliari e della Sardegna intera.
La mia generazione ha avvertito uno sgradevole scarto fra la propria percezione della realtà isolana e quella che, ancora alla fine degli anni ’60, il giudizio nazionale rimbalzava riassumendo e schiacciando sardità e Sardegna in una marginalità agro-pastorale, fra diffuso analfabetismo, dialetto incomprensibile e rara capacità di emancipazione modernista. A qualche lustro dalla storica eradicazione della malaria e nonostante gli sforzi della Regione Autonoma, la complessione socio-economica e culturale dell’Isola poco aveva concesso, in effetti, allo sviluppo dell’intero: ancora troppo agli inizi gli investimenti industriali e in agricoltura, ecc. E per contro, flussi di emigrazione inarrestabili alla volta delle regioni del nord Italia e dell’Europa franco-belga e tedesca o svizzera. Modesta l’incidenza da leggi di settore sullo stato di vita delle popolazioni, così fino alla stagione del Piano di Rinascita del 1962 e al ruolo protagonista conquistato dalla Autonomia regionale in associazione alla Cassa per il Mezzogiorno.
Il dodicennio e più di attuazione della politica di Rinascita, coincidente con la evoluzione anche politica nazionale, dette corpo ad un processo di graduale modernizzazione e l’Isola iniziò ad uscire dal suo isolamento anche per il miglioramento dei collegamenti aerei e marittimi. Decollò allora anche la prima valorizzazione turistica costiera e decollò anche una certa industria di base (petrolchimica) che ci si illuse capace di verticalizzazioni produttive in logica di filiera, capace di assorbire il malessere delle zone interne fonte del banditismo.
Dal bianco e nero con cui la televisione di stato aveva offerto nel 1963 i documentari firmati da Giuseppe Dessì, volti a presentare all’Italia tutta la Sardegna del passato nel momento del suo passaggio al tempo nuovo, si andava al… colore “vissuto” delle spiagge e dei porti affollati di vacanzieri e delle maglie del Cagliari finalmente in A. Le dinamiche contestative dell’autunno caldo e la protesta universitaria entrarono anche negli stabilimenti, negli atenei e nelle sensibilità operaie e studentesche della Sardegna. Sottotraccia, la secolarizzazione allargò allora i suoi spazi, tanto che la circoscrizione che nel 1946 aveva consegnato alla monarchia la larga maggioranza dei suoi consensi, nel 1974 avrebbe rivelato valori opposti al referendum sul divorzio.
Marisa Sannia sul palco di Sanremo rappresentò anche lei una Sardegna fresca e moderna, nelle grandi passioni collettive fu il Cagliari di Silvestri e poi di Scopigno il biglietto di presentazione della nuova realtà sarda sulla scena italiana e internazionale: richiamo sentimentale dei nostri emigrati sparsi per regioni e nazioni, ma anche messaggio identitario nella modernità per chiunque potesse associare il nome di Riva e della squadra ad una “specialità” integrata nei tempi. Quando il segno di sufficienza e talvolta di disprezzo o commiserazione, prese a trasformarsi in sorriso di apprezzamento e amore alle coste sabbiose e ai percorsi montagnosi dell’interno. Presto anche alla narrativa di Salvatore Satta.La visita di Paolo VI fu per Cagliari e la Sardegna intera elemento qualificante di quella certa fase storica di trasformazione e generale riconoscimento dei nuovi approdi. La telecronaca in diretta Rai, per tutta la mattina del 24 aprile, della messa solenne in faccia al mare di Bonaria e nell’assemblea dei costumi della tradizione e degli abiti civili – l’assemblea dei centomila provenienti da tutta la Sardegna che in Cagliari si ritrovava come a casa propria, cittadina di Cagliari come i cagliaritani nel gran numero erano e sarebbero stati sempre più figli di mille radici isolane – fece epoca nelle pieghe segrete delle consapevolezze: dei sardi non meno che dei loro connazionali del continente.
Il plesso mercedario in cui si fecero santi fior di religiosi, e in ultimo il giovanissimo fra Antonino Pisano, era stato nel tempo destinatario di messaggi pontifici, si pensi a Pio XII e Giovanni XXIII nel 1960: di quel Giovanni XXIII che da prete, nell’ottobre 1921, all’altare di quello stesso santuario aveva celebrato messa, infiorando così la sua permanenza di quattro giorni a Cagliari. E Paolo VI stesso, Giovanni Battista Montini, lo si sapeva non estraneo a quel monumento e a quel mondo, lui che a Cagliari era venuto, incaricato dell’assistenza religiosa nazionale della FUCI, nel 1928 e nel 1932.
Memorie remote risalivano nelle testimonianze e nelle cronache calde dei giornali in quella primavera 1970. Tante storie, una sola storia. Papa Montini che più volte aveva accolto in Vaticano le autorità regionali e la squadra del Cagliari e voluto per l’archidiocesi un cardinale, con la sua visita fissò anch’egli, per Cagliari e la Sardegna, uno status di protagonismo avanzato, interno ai tempi nuovi e nelle sempre maggiori complessità della nazione e del mondo.