
Urne aperte per le Regionali, domenica 24 febbraio dalle 6.30 alle 22. Lo spoglio con i risultati sarà lunedì mattina.
Informazioni sul voto su http://www.sardegnaelezioni.it/it/regionali/2019
L’analisi. Sette candidati alla presidenza, una Sardegna distratta tra l’appello al voto e l’incognita del peso delle proteste dei pastori sull’esito finale
di Carlo Pala
politologo (Università di Sassari)
Forse non si ricorda, nella storia recente dell’Autonomia sarda, una campagna elettorale per le elezioni Regionali oscurata – ma sarebbe meglio dire, “imbiancata” – da un fenomeno prima di tutto sociale. La guerra del latte dei pastori sardi irrompe nella campagna elettorale con irruenza. La rilevanza assunta dal fenomeno, mediaticamente andata al di là dei confini regionali e anche nazionali, pare aver ridotto in questi ultimi dieci giorni l’attenzione e l’interesse dei sardi per le imminenti Regionali. Interesse che pare essersi risvegliato proprio quando i pastori, se la crisi del prezzo del latte non dovesse essere risolta prima, hanno minacciato di bloccare le elezioni. Solo in quel momento i sardi si sono ricordati che esisteva una campagna elettorale in atto, dove l’attenzione massmediatica invece era più rivolta agli sversamenti del latte ovino per le strade e dai blocchi stradali attuati dai pastori. Campagna elettorale che quest’anno vede in prima linea ben sette candidati alla presidenza della Giunta regionale. Il primo in ordine di tempo, dopo aver vinto le “Regionarie” è Francesco Desogus del M5S, agronomo e bibliotecario di Sestu, coi pentastellati che per la prima volta si candidano alla guida della Regione (cinque anni fa non fu possibile una loro presenza per una questione legata alla paternità del simbolo, sciolta solo in seguito). L’ultimo in ordine di tempo ad aver annunciato la sua candidatura è il candidato di Sinistra Sarda (un contenitore che mette assieme Rifondazione Comunista, il Partito dei Comunisti Italiani e altre liste civiche), lo scrittore e giornalista sassarese Vindice Lecis. In mezzo gli altri cinque candidati. Tra questi, le due coalizioni di centrosinistra e centrodestra. La prima è guidata da Massimo Zedda, sindaco di Cagliari e della città metropolitana, sostenuto da sette liste, la cui candidatura è stata chiesta, almeno ufficialmente, da un insieme di sindaci. La seconda, di centrodestra, guidata da Christian Solinas, segretario nazionale del Partito Sardo d’Azione, senatore della Repubblica eletto alle Politiche del 2018 nelle liste della Lega di Salvini e sostenuto da undici liste. E sarebbe proprio l’attuale Ministro dell’Interno ad averlo designato alla candidatura dell’intera coalizione dopo consultazioni con Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni. In mezzo l’anima indipendentista e identitaria che si presenta su tre blocchi diversi. Il Partito dei Sardi, con l’ex assessore regionale e docente universitario Paolo Maninchedda; la lista di Autodeterminatzione (con una alleanza tra partiti storici dell’indipendentismo sardo, da iRS ai Rossomori), capeggiata da Andrea Murgia, funzionario dell’UE, di Seulo; e, infine, Mauro Pili, ex presidente di Regione ed ex deputato di Forza Italia, oggi leader di Unidos e che, con ProgReS e alcuni transfughi sardisti contrari all’alleanza di quel partito con Salvini, hanno formato la lista di Sardi Liberi.
Vi sono almeno tre aspetti di interesse politico in queste elezioni. Il primo è legato alla performance del centrosinistra uscente, guidato da Zedda, e se lo stesso riesca nell’impresa di confermare alla guida della regione la stessa colazione. Il secondo, ai risultati del M5S che si presente alle regionali per la prima volta. Il terzo, se i candidati indipendentisti, oggi divisi in tre liste, avessero potuto tentare un’unione per contare di più all’interno del Consiglio. Ma ve n’è un altro, di aspetto, del quale nessuno parla: ci sarà o meno una alta astensione alle urne? È proprio da lì che passa ogni possibile previsione di ciò che accadrà il 24 febbraio.
