Nicolo Capriata
Lo scorso 21 febbraio è stata una festa per il tabarchino. A Carloforte si è celebrata la giornata internazionale della lingua madre istituita venti anni fa dall’Unesco. A ricordare la ricorrenza e a, come dire, a festeggiare il tabarchino è stata l’Assuciasiun Cultürole Tabarchiña (Associazione Culturale Tabarchina) che come finalità tutela e promuove appunto la lingua tabarchina. È stata una festa per il tabarchino e per tanti bambini delle scuole elementari e delle scuole medie che hanno partecipato con loro componimenti (racconti, poesie ed anche canzoni) al concorso Cumme’n libbru strepelàu, come un libro stracciato (che è un modo di dire col quale si indicano persone che si esprimono con numerosi strafalcioni) organizzato dall’Associazione. La manifestazione ha visto la partecipazione non solo dei bambini ma di tanti adulti che hanno apprezzato l’iniziativa anche perché il tabarchino è parlato spontaneamente dalla quasi totalità degli isolani e sentire i bambini che continuano nella parlata degli avi, ha fatto davvero tanta tenerezza. D’altronde Remigio Scopelliti, vicesindaco di Calasetta nonché cultore di cose tabarchine, chiamato ad intervenire per l’occasione, ha ricordato una significativa frase di Nelson Mandela: “Parlare a qualcuno in una lingua che comprende, consente di raggiungere il suo cervello. Parlargli nella sua lingua madre significa raggiungere il suo cuore”. Vent’anni fa, s’è detto, è stata istituita la Giornata internazionale della Lingua Madre, ma vent’anni fa è entrata pure in vigore anche la legge n°482 Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche, la quale tra le tante varietà linguistiche riconosciute si è “dimenticata” il tabarchino che è la lingua minore con il più elevato tasso di parlanti in rapporto alla popolazione. Che invece è oculatamente riconosciuto dalla legislazione sarda che conferisce al tabarchino “parlato nelle isole del Sulcis” la stessa valenza attribuita alla lingua sarda. L’“amnesia” della legge italiana è sicuramente una stortura se non un paradosso. Il tabarchino non è poi solamente una lingua parlata ma si avvale di tutti gli strumenti per la sua scrittura, quali una codificazione ortografica, delle regole grammaticali e di sintassi. Una lingua così viva e sentita (la manifestazione dello scorso giovedì ne è una lampante dimostrazione) non può essere lasciata a se stessa. Prima o poi lo Stato italiano, che tutela a volte le lingue minori più per fini turistici che culturali veri e propri, dovrà fare qualcosa per il tabarchino.
Foto http://www.carloforteturismo.it/Carloforte/
Su “Sulcis Iglesiente Oggi” n° 8 del 3 marzo 2019