
Papa Francesco, un nuovo sinodo e il camminare insieme di vescovi e popolo di Dio: dialogo con mons. Arrigo Miglio
di Mario Girau
Il Papa dice: “Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano, popolare, umile e generoso. Che cosa dobbiamo fare, spetta a voi decidere, popolo e pastori insieme”. È il cammino sinodale, che non vuol dire necessariamente convocare un sinodo. Come camminare sinodalmente, insieme?
Parlando il 30 gennaio 2021 nell’Udienza concessa all’Ufficio Catechistico della CEI, papa Francesco ha usato una espressione ben precisa a proposito del cammino sinodale: “Un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare”. Dunque il Papa ha parlato di un processo (una parola che ripete spesso) e di un cammino ma in riferimento ad una istituzione precisa, il Sinodo, che appartiene alla tradizione della Chiesa. Vicinanza alla gente, preghiera, umanesimo cristiano, sono espressioni del Papa che mi sembrano volerci dire che un cammino sinodale non è anzitutto un fatto organizzativo o burocratico e neppure un’esperienza di èlite (altra espressione che troviamo nel discorso del 30 gennaio scorso), ma vera esperienza ecclesiale, che coinvolga tutto il Popolo di Dio e la sua vita concreta. Parlare di umanesimo cristiano significa allora preoccuparci della “vita buona” che interessa tutti, che riguarda tutti: c’entra sicuramente la cura del Creato, ma anche la cura della vita umana e della dignità di ogni persona, la cura della famiglia e prima ancora dell’educazione dei giovani all’Amore, la cura del lavoro visto anzitutto come condizione fondamentale per la dignità dei ciascuno. Stiamo parlando di beni che sono davvero comuni e non riguardano solo i cattolici. Anche alimentare speranza e dare senso all’esistenza è un bene di cui tutti sentono il bisogno. Il cristiano sa che Gesù è la sorgente di questa vita buona che noi riceviamo da Lui, un bene che siamo chiamati a condividere, testimoniandolo con la nostra vita.
Il Papa raccomanda “l’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nel vostro Paese, cercando il bene comune”. Basta questo per l’Italia e per la Sardegna?
Queste parole mi fanno pensare ad alcuni ambiti particolari. Penso anzitutto ai cattolici che hanno una sensibilità sociale e politica e penso a quanto scriveva Papa Benedetto XVI nell’enciclica Caritas In Veritate (nn.2-5) a proposito della necessità di recuperare una visione completa e non riduttiva della Carità. Questa non può occuparsi solo dell’assistenza per rimediare alle conseguenze di un’economia che non tiene conto dei poveri ma la Carità vera deve essere presente nel momento in cui si fanno piani e progetti, per essere attenti anzitutto ai più poveri e alle conseguenze che le scelte politiche ed economiche avranno su di loro. Opzione preferenziale per i poveri significa in primo luogo impegnarsi per un’economia che tenga conto anzitutto di loro nelle varie scelte. È questo un punto ben chiaro anche nell’Evangelii Gaudium.
E per quanto riguarda la capacità di incontro e di dialogo per favorire la giustizia sociale in Italia?
Qui serve davvero un percorso sinodale come “luogo” per crescere in questa direzione: incontro e dialogo tra quanti sono politicamente impegnati, ciascuno con le proprie scelte, ma in quanto cristiani chiamati ad incontrarsi sui beni comuni fondamentali, come è l’inclusione sociale dei poveri, che per un cristiano non è optional ma impegno preciso, pur nella difficoltà di trovare la strada più efficace. In un percorso di tipo sinodale poi incontro e dialogo sono necessari anche per tutta la varietà dei gruppi laicali del nostro paese, per confluire sempre più nella costruzione della comunione ecclesiale e per animare in modo efficace il cammino della nostra società. Nessuno è esonerato dall’impegno di far crescere incontro e dialogo, noi clero compresi. Il Papa conosce bene le divisioni che a vari livelli rallentano il cammino del nostro Paese. Ne ha bisogno certamente anche la Sardegna, e se faremo dei passi in avanti in questa direzione daremo un contributo importante per avviare un processo.
Quale è, dunque, il significato vero della parola “Sinodo”?
Significa dire qualcosa di più rispetto a incontro, convegno, commissione, consulta, ecc. Sinodo è anche cosa diversa da consiglio presbiterale e da consiglio pastorale, organismi di partecipazione previsti per le diocesi, mentre a livello nazionale al momento abbiamo la Commissione Presbiterale Nazionale e la Consulta Nazionale dell’Apostolato dei Laici. Pensando ad un futuro cammino sinodale mi viene da dire che non partiamo proprio da zero, pensiamo ad esempio all’esperienza dei convegni ecclesiali nazionali. In Sardegna abbiamo avuto l’esperienza del Concilio Plenario Sardo, iniziato ai tempi di Mons. Canestri arcivescovo di Cagliari e presidente della Conferenza Episcopale Regionale, proseguito sotto la guida di Mons. Alberti e con la segreteria affidata a Mons. Tiddia. Ho avuto la possibilità di partecipare ad alcune tappe di questo cammino, negli anni del mio episcopato iglesiente, e conservo un bel ricordo delle giornate dedicate a questo cammino, tra vescovi ma anche tra vescovi, sacerdoti, religiosi e laici. Sono passati vent’anni dalla sua conclusione e più di trenta dal suo inizio. Il testo che ne raccoglie le indicazioni e disposizioni, alla cui redazione finale lavorò con impegno il compianto padre gesuita Sebastiano Mosso, è ricco di sapienza pastorale; ma la vera ricchezza di quell’esperienza la vedo proprio nel percorso ecclesiale fatto insieme, condividendo tempo, idee, problemi, passione ecclesiale.
Papa Francesco dice “in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che avrete individuato in questo convegno”. Secondo Lei, ci indichi alcuni criteri pratici per la Sardegna per attuare le disposizioni della E.G.
Evangelii Gaudium è un testo lungo, ricco e complesso, a prima vista può anche sembrare difficile affrontarlo, almeno da parte di chi ha meno dimestichezza con i documenti magisteriali. Ma penso ad es. alla strada percorsa in preparazione alla Settimana Sociale di Cagliari, quando uffici regionali e diocesi hanno organizzato dei seminari in vari punti della Regione e in ciascun seminario venne affrontato un problema particolarmente legato a quel territorio. Anche l’invito del Papa a riprendere in mano le priorità individuate nel Convegno di Firenze mi pare un suggerimento utile, per declinare i vari capitoli di Evangelii Gaudium in rapporto al nostro cammino ecclesiale. Ma stiamo anche attraversando l’era Covid 19! Occorre vincere la tentazione di fermarsi e aspettare…, cercando invece di “leggere” la situazione nuova e di fare un discernimento coraggioso per il cammino di evangelizzazione che ci attende.
Perché, oltre che la preghiera, è la gente che fa stare in piedi un vescovo.
Nessuno può vivere la fede cristiana da solo, nell’individualismo. Il vescovo esiste per la sua comunità cristiana, anzi per tutta la gente che vive intorno a lui. Quando annuncia la Parola di Dio è lui il primo ad esserne colpito, diciamo pure ferito, perché, come dice la Lettera agli Ebrei, la Parola di Dio è una spada a doppio taglio. Quando visita le comunità della sua diocesi incontra sempre molti “santi della porta accanto”, come li chiama papa Francesco, e torna a casa consolato e incoraggiato. Quando si trova con i suoi preti rimane sempre colpito dal coraggio e dalla generosità di questi uomini che hanno giocato la loro vita per il Signore nel servizio della comunità cristiana: sono uomini concreti come lui, tutti fatti di carne e ossa, ma la loro vita quotidiana rivela sempre aspetti commoventi. E quando la sera il vescovo si raccoglie davanti al suo Signore ha sempre tante persone per cui pregare, persone cariche di problemi, incontrate durante la giornata, persone che ha cercato di aiutare o che invece non è stato capace di aiutare: è il momento in cui anche il vescovo si sente piccolo piccolo e mette nelle grandi mani del Signore se stesso e tutti gli altri. La gente diventa parte della sua vita, parte di lui, e così si sente accompagnato e sostenuto ed è grazie a loro che sente vicino l’aiuto del Signore, arrivando man mano a capire perché il Signore ha voluto proprio lui.