Costruire percorsi per un “Noi ecclesiale”

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Dopo l’annuncio del Papa, attenzione alla sinodalità alla dimensione spirituale prima che sociologica. “solo così potranno esserci comunione, partecipazione, missione”

di Mario Girau

Papa Francesco ha assegnato ai vescovi sardi  – come a tutti gli oltre 5300 presuli del mondo – i compiti a casa, da fare dall’estate di quest’anno fino alla prossima primavera: preparare e realizzare il sinodo diocesano, cioè gli  stati generali della Chiesa locale. Il Papa vuole ascoltare tutto il popolo di Dio – preti, frati, suore, laici di ogni condizione  – prima di decidere il cammino da intraprendere per rispondere alle attese e alle speranze dell’uomo d’oggi. Anzi vuole che d’ora in avanti la Chiesa sia sempre sinodale, cioè cammini insieme, solo così potranno esserci  comunione, partecipazione e missione. Con un colpo a sorpresa Bergoglio ha deciso di trasformare il Sinodo mondiale dei vescovi – previsto nel 2023 – da evento in un processo destinato a favorire  la partecipazione e la consultazione della totalità dei battezzati, soggetti  del  sensus fidei  infallibile in credendo: il Concilio Vaticano II ha insegnato che Cristo parla non soltanto per mezzo dei preti e dei vescovi, ma anche attraverso il laicato.
Il Sinodo sarà aperto dal papa in Vaticano il prossimo 9-10 ottobre; una settimana dopo, il 17 ottobre, in ogni diocesi. Due vescovi sardi, mons. Antonello Mura e mons. Roberto Carboni, saranno impegnati in due celebrazioni, rispettivamente a Nuoro e Lanusei e Oristano e Ales.
“Già qualche anno fa, papa Francesco ci aveva chiesto  – dice mons. Gianfranco Saba, arcivescovo di Sassari – di approfondire l’esortazione apostolica Evangelii gaudium per trarre da essa criteri pratici e attuare le sue disposizioni. La celebrazione del sinodo diocesano è un’occasione per la Chiesa particolare per scoprire nella sua missione la relazione tra la dimensione particolare e la dimensione universale, come comprensione non sociologica ma teologica”. “Come già si è visto per i sinodi sulla famiglia e sui giovani il Papa  – dice mons. Roberto Carboni arcivescovo di Oristano e vescovo di Ales-Terralba – vuole coinvolgere le chiese nazionali sparse per il mondo. La  CEI aveva già accolto l’invito del Papa per un sinodo nazionale che va  a unirsi a quello universale. Una buona occasione per riprendere il cammino dopo la pandemia”.
Organizzativamente il sinodo diocesano seguirà una procedura indicata, prima di ottobre, in un documento preparatorio della Santa Sede, accompagnato da un questionario e da un vademecum. Ogni vescovo nominerà un responsabile (eventualmente un’equipe) diocesano della consultazione sinodale, punto di riferimento e di collegamento con la Conferenza Episcopale nazionale. “Siamo in attesa di conoscere le direttive della CEI – dice  mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari – con l’indicazione dei temi specifici che la Chiesa italiana intende approfondire. La consultazione nelle diocesi, a seconda delle situazioni, potrebbe anche prevedere assemblee sinodali aperte a tutti, non solamente rivolte agli organismi di partecipazione previsti dal diritto canonico”. La consultazione del Popolo di Dio in ciascuna diocesi si concluderà con una riunione pre-sinodale, che sarà il momento culminante del discernimento diocesano. I risultati saranno inviati alla Conferenza Episcopale nazionale.
La concomitanza tra  il “cammino sinodale”  italiano  – definito dal Cardinale  Gualtiero Bassetti, presidente CEI “quel processo necessario che permetterà alle nostre Chiese che sono in Italia di fare proprio, sempre meglio, uno stile di presenza nella storia che sia credibile e affidabile” –  e  quello in vista del sinodo dei vescovi del 2023  richiederà un’armonizzazione. La sfida resta quella di costruire percorsi che diano voce alle specificità delle comunità del Paese all’interno di un più ampio “Noi ecclesiale”: in quest’ottica, appare evidente che la sinodalità debba essere considerata non in prospettiva sociologica, ma nella sua dimensione spirituale: ancora prima delle scelte procedurali, essa ha a che fare con la conversione ecclesiale, a cui richiama costantemente il Papa. È questo, dunque, l’orizzonte a cui tendere con coraggio, superando il rischio di astrazioni inconcludenti e frustranti, e impegnandosi perché la diversificazione del territorio italiano non ostacoli la possibilità di scelte condivise. Il percorso sinodale, del resto, si configura come un evento provvidenziale, in quanto risponde alla necessità odierna di dare vita ad una Chiesa più missionaria, capace di mettersi in ascolto delle domande e delle attese degli uomini e delle donne di oggi. Partire “dal basso”, così come ha sollecitato il Papa, significa ascoltare la base per poi proseguire a livelli sempre più alti, raggiungendo anche le persone lontane, che si trovano oltre i confini degli “addetti ai lavori”, toccando pure l’ambito ecumenico e interreligioso. In questo modo, in sintonia con quanto sottolineato dal Cardinale Presidente, il “cammino sinodale” potrà davvero essere garanzia di un “Noi ecclesiale” inclusivo, espressione della Chiesa “popolo di Dio”.
“Il Papa inserisce in questo modo le diocesi nel processo di formazione, attuazione e ascolto del Sinodo universale. Una fase, quella che ci impegnerà  da ottobre 2021 ad aprile 2022, che dimostra – evidenzia mons. Antonello Mura, vescovo di Nuoro e presidente CES – quanto il Papa abbia a cuore le idee e i suggerimenti che arrivano dalle Chiese locali. Un cammino che avrà bisogno di contenuti ma soprattutto di metodologia. Sinodale appunto”.

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