Impressioni e riflessioni a vent’anni dalla chiusura dei lavori e la promulgazione degli atti avvenuta nella basilica N.S. di Bonaria
A cura di Mario Girau
Il 1° luglio 2001 segna una data comunque storica per la Chiesa sarda: la chiusura del secondo Concilio Plenario regionale (il primo nel 1924) e la promulgazione, nella basilica di Bonaria, degli atti elaborati in 15 anni di incontri, riunioni e approfondimenti e votati a maggioranza in 4 sessioni da 90 “padri conciliari” nel corso di 4 sessioni. Sono passati 20 anni da quell’assemblea conciliare. Più volte in questo arco di tempo si è tentato di ricercare i segni impressi dal Concilio nelle nostre chiese locali, nella pastorale diocesana e parrocchiale. Avrebbero dovuto farlo le diocesi – ciascuna al proprio interno – e anche la Chiesa regionale nella sua totalità, attraverso delle assemblee locali regionali. Almeno una ogni dieci anni. Non è stato mai fatto, e i motivi non si conoscono. Certo è che le varie diocesi, per la prima volta nella storia recente della Chiesa sarda, hanno scoperto nei giorni migliori del Concilio utilità e possibilità di lavorare insieme, di individuare praterie di collaborazione pastorale. Era in un certo senso l’inizio della Chiesa sinodale di cui parla insistentemente Papa Francesco.
Tonino Cabizzosu
Prof. emerito di Storia della Chiesa nella Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna
A vent’anni dalla chiusura del Concilio Plenario, rileggere, rivisitare, riflettere sui suoi Atti appare un dovere di giustizia in quanto contengono spunti carichi di stimoli e di inquietudini per la comunità ecclesiale isolana. Il lungo e travagliato iter che lo ha accompagnato (1986-2001) se da un lato ha evidenziato la difficoltà di lavorare insieme, dall’altro ha gettato il seme e ha insegnato una metodologia per future collaborazioni. L’eredità di quell’importante evento, grazie alla sostanziosa sintesi operata da p. Sebastiano Mosso e fatta propria dai padri conciliari, è da contestualizzare all’interno dell’ecclesiologia conciliare per gli orizzonti che apre su una Chiesa in stato di missione, sulla promozione del laicato, sulla ricerca di nuove vie di evangelizzazione, sul dialogo con l’uomo contemporaneo. Dopo un lungo periodo in cui il Concilio Plenario ha subito una sprezzante marginalizzazione, ora è tempo di smetterla di piangerci addosso e di vedere sempre la responsabilità in altri, urge rimboccarci le maniche e rileggerlo negli ampi orizzonti che Papa Francesco indica alla Chiesa. Il cammino di sinodalità di cui ora tanto si parla (aprire processi più che organizzare eventi giuridici), la Chiesa sarda l’aveva intuito e programmato in quella circostanza. Da studioso di storia vedo uno dei punti più significativi nel contenuto del numero 100 che definisce la lingua sarda “un singolare strumento comunicativo della fede” e ne auspica la valorizzazione nella liturgia. È la risposta più eloquente agli orientamenti del Concilio Plenario del 1924 che ne inibiva l’uso e la guardava con diffidenza. Anche se tanto cammino è stato fatto da quella data ad oggi, sono ancora da lamentare e stigmatizzare troppe lentezze!
Salvatore Benizzi
Direttore della pastorale sociale della diocesi di Iglesias
“Monsignor Arrigo Miglio mi aveva nominato vicario episcopale per la «Pastorale sociale e del lavoro». Grazie a questo incarico partecipai al Concilio Plenario Sardo, un sinodo che inizialmente ci aveva riempito di entusiasmo”. Don Salvatore Benizzi ricorda la lunga maratona conciliare – 15 anni – come una bella avventura per la Chiesa sarda. Almeno agli inizi. “Ho fatto parte della Commissione per i problemi sociali che monsignor Miglio fece sdoppiare per creare la commissione per la famiglia. Si produsse un bel po’ di materiale, proposte, relazioni, studi. Il difficile venne quando si trattò di assemblare quella mole di documenti”. Una fatica lasciata a padre Sebastiano Mosso, che lavorò molto bene al punto da “lasciarci la vita”, precisa don Benizzi. Un Concilio che non ha prodotto i frutti sperati. “C’erano tante aspettative, che sono andate deluse. Forse perché – dice l’attuale responsabile diocesano della pastorale sociale – si è impiegato un tempo biblico, tre lustri, appunto per completare il lavoro. Forse perché è stata messa in moto una macchina troppo grande complessa, costruita secondo un modello giuridico richiesto per assemblee universali. La gran parte dei «padri conciliari» di nomina vescovile, non ufficialmente presenti le rappresentanze dei movimenti ecclesiali. Un Concilio Plenario sardo più semplice avrebbe dato maggiori risultati. Un Concilio che non ha lasciato il segno e che forse è stato letto solo in parte”.
Mons. Franco Pometti
In qualità di vicario generale don Franco Pometti ha partecipato di diritto ai lavori del Concilio Plenario Sardo. “Inizialmente eravamo convinti e speravamo con forza di poter fare qualcosa di utile e costruttivo per la Chiesa sarda. Purtroppo abbiamo dovuto fare i conti con un arco temporale di lavori decisamente lungo, che ha tolto entusiasmo all’iniziativa conciliare, al punto che in qualche periodo si è dubitato di riuscire a chiuderla con la pubblicazione dei documenti relativi ai temi trattati e alle conclusioni raggiunte. Anche – dice l’attuale parroco di San Paolo Apostolo – perché non si trovava nessuno disposto a trasformare i numerosi contributi pastorali, ecclesiologici, liturgici in un documento organico calato nella realtà sarda”.
Dopo la conclusione ufficiale e la promulgazione degli atti, il 1° luglio 2001, forse perché ormai soddisfatti dell’insperato traguardo raggiunto, è mancata la spinta necessaria per mettere in atto il Concilio. “Insomma – aggiunge don Pometti – la montagna ha prodotto il topolino. I documenti conciliari erano così impegnativi che forse gli stessi vescovi hanno preferito ignorarli. Il Concilio Plenario Sardo, nei fatti, ormai è dimenticato, anche dagli stessi ordinari diocesani. Nei numerosi documenti pubblicati dai vescovi dopo il 2001 sono sempre più rari i riferimenti a quel Concilio. E forse i preti l’hanno letto solo in parte”.
Nico Grillo
“Ho partecipato solamente ad alcuni incontri preparatori del Concilio Plenario sardo. Perciò – dice Nico Grillo – non ho elementi per giudicare lo svolgimento di quelle importanti assemblee. Per quanto riguarda gli effetti, la diffusione e le ricadute del Concilio sulla realtà della Chiesa sarda, mi sembra che possano inquadrarsi nel silenzio che sempre più spesso fa seguito ai documenti pur importanti pubblicati dall’episcopato italiano”. Delle due l’una: l’episcopato italiano produce documenti lontani dalla realtà oppure i fedeli non sono interessati ai problemi trattati dai vescovi. Il primo diacono permanente istituito in diocesi esemplifica: “Con gli Orientamenti pastorali 2010-2020, pubblicati in «Educare alla vita buona del Vangelo», i vescovi italiani ponevano l’emergenza educativa al centro della propria missione. Non mi risulta che in questo decennio ci sia stata una mobilitazione sulle tematiche richiamate dall’episcopato. Non so se il clero sardo abbia mai preso in mano gli atti del Concilio plenario e, se non ricordo male, non mi è capitato di sentire un prete rifarsi testualmente ai documenti della «Chiesa di Dio in Sardegna all’inizio del Terzo Millennio». Come è possibile che i vescovi diano indicazioni che nessun sacerdote prende in considerazione? È un problema su cui riflettere”.
Monsignor Piergiuliano Tiddia
Segretario generale del Concilio Plenario Sardo
Monsignor Piergiuliano Tiddia è stato il motore organizzativo del Concilio Plenario Sardo; regista di un’Assemblea durata 15 anni, da tenere sempre – per non perdere in credibilità – ad alto livello. L’arcivescovo emerito di Oristano, ovviamente con la collaborazione dei confratelli, prima di tutti monsignor Ottorino Alberti, arcivescovo di Cagliari e Presidente del Concilio, è riuscito nell’impresa – osservata speciale, perché nuova, la prima dopo la chiusura del Vaticano II – da tutta la Chiesa italiana.
“I documenti del Concilio Plenario Sardo – dice monsignor Tiddia – sono ancora attuali e dovrebbe essere compito delle nostre Chiese locali, quindi clero e laici, frugarli fino in fondo per ricavarne linee d’indirizzo pastorale, obiettivi, ricchezza contenutistica e modernità. Ci hanno guidato nel nostro lavoro il Vaticano II, il magistero del Papa, i documenti delle congregazioni della Santa Sede, della CEI e della Conferenza episcopale sarda. Il lavoro conciliare – come ha riconosciuto l’allora Prefetto della Congregazione per i Vescovi, cardinale Giovanni Battista Re – «è risultato di elevato livello dal punto di vista sia teologico che pastorale e giuridico». Il Concilio non fu un lavoro solo dei vescovi o del clero: la maggioranza dei «padri conciliari», anche se di poco, era formata da laici. Inoltre, benché solo i vescovi (ordinari ed emeriti invitati) avessero voto deliberativo, i documenti furono tutti votati a maggioranza”.
Il Concilio Plenario dopo il 1° luglio 2001 non ha avuto molta audience nelle diocesi e nelle parrocchie. Per vari motivi: forse perché non lo si è studiato e adeguatamente fatto conoscere; perché i sacerdoti ancora impegnati ad attuare il Vaticano II; per i naturali avvicendamenti dei vescovi nelle diocesi sardi: nel 2009 dei 14 padri conciliari (senza contare 5 emeriti) che parteciparono in tempi diversi al “Plenario” solo 4 risultano in servizio. Consolante per monsignor Tiddia il fatto che l’arcivescovo di Cagliari, Giuseppe Baturi, nell’indicare il ruolo dei vicari foranei si sia rifatto ai documenti del Concilio regionale. “È un bell’esempio di vescovo, che, proveniente da un’altra regione, si inserisce nella continuità storica ed ecclesiale della Chiesa che è chiamato a governare”.
Discorso di Papa Giovanni Paolo II ai vescovi sardi in visita ad limina il 31 gennaio 1992
“Vivere da cristiani comporta il dovere, per quanto è a ognuno possibile, di diffondere la fede”. È il mandato missionario universale della Chiesa: impegno certamente difficile, ma confortato dalle parole del Signore: «Io sarò con voi fino alla fine dei secoli» (Mt 28, 20). Papa Giovanni Paolo II colloca il Concilio Plenario Sardo in questo contesto di rinnovata urgenza evangelizzazione sentita a tutte le latitudini. Lo dice ai vescovi ricevuti in “visita ad limina” il 31 gennaio 1992, appena 25 giorni dopo l’indizione ufficiale del Concilio regionale avvenuta a Cagliari, nella basilica di N. S. di Bonaria, il 6 gennaio.
Un Concilio – dal titolo “La Chiesa di Dio in Sardegna santificata e mandata per evangelizzare e servire”.- “da tutti avvertito come una provvidenziale opportunità per il rilancio dell’evangelizzazione nella vostra Regione… Riflettendo sulla propria identità, la Chiesa non potrà non prendere coscienza delle sue responsabilità in ordine all’evangelizzazione e assumerle coraggiosamente per contribuire alla costruzione di un mondo realmente giusto e solidale. Si rende necessario individuare le linee di un’azione missionaria comune, idonea a proporre – in questi anni che ci preparano al terzo Millennio cristiano – il Vangelo agli uomini e alle donne della vostra Terra”. Il Papa delimita il campo del Concilio Plenario sardo: solamente un’assemblea pastorale. “Da esso non ci si dovranno attendere proposte di soluzioni tecniche alle vaste problematiche sociali, economiche e politiche che interessano la società della vostra Isola, ma un rilancio della vita spirituale che renda i credenti testimoni della “verità che vi farà liberi” (Gv 8, 32): autentici testimoni e discepoli di Cristo”. Gli stessi vescovi sardi avevano indicato le caratteristiche principali dell’assemblea in preparazione: un Concilio “epifanico”, “eucaristico”, “mariano” e “apostolico”. Giovanni Paolo II dedica tutta la mattinata del 31 gennaio, festa di San Giovanni Bosco, ai vescovi isolani: prima la concelebrazione nella cappella dell’appartamento pontificio a seguire l’udienza nella biblioteca privata, quindi l’invito a pranzo.
Il Papa detta il compito ai presuli: “Siete chiamati a far risuonare il perenne messaggio evangelico in una società e in una Chiesa profondamente trasformate”, rispetto al precedente Concilio Plenario del 1924. “Quanto numerose sono, infatti, le problematiche che caratterizzano la vita della gente sarda ai nostri giorni! Emergono i tratti non di rado negativi dell’odierna cultura consumistica e dell’edonismo, del secolarismo e dell’individualismo; si fanno sentire le difficoltà economiche, la crisi occupazionale, che spinge non pochi a emigrare, e l’emergere di nuove povertà; preoccupano i fenomeni della violenza e della criminalità organizzata, la crisi delle Istituzioni e il travaglio del mondo giovanile. Quanto grandi sono, però – aggiunge il futuro santo pontefice – anche le risorse ideali e morali del vostro popolo, ricco di nobili tradizioni familiari e religiose! Al patrimonio dei valori, di cui sono depositari privilegiati gli anziani, si aggiungono le aspirazioni dei giovani, assetati di onestà, di giustizia, di libertà e di verità. Dinanzi a voi si apre un vasto campo d’azione”.
Le popolazioni sarde attendono da voi indicazioni e suggerimenti che le aprano a una più approfondita conoscenza del piano salvifico. Preoccupatevi, pertanto, nel vostro quotidiano ministero episcopale di promuovere e di formare le coscienze a una antropologia incentrata su Cristo, l’Uomo nuovo, capace di valorizzare tutte le risorse dell’essere umano. L’uomo è “la prima e fondamentale via della Chiesa” (Redemptor hominis, 14), cioè la strada obbligata, la ragion d’essere per cui essa vive nel mondo. Il monito paolino: “Guai a me se non evangelizzerò” (1 Cor 9, 6), potrebbe risuonare per il credente di oggi in questi termini: Guai a me se non proclamerò la presenza di Cristo in ogni vita umana; guai se abbandonerò la causa dell’uomo”.
BOX per la CRONISTORIA
- 7 novembre 1986 : I vescovi sardi decidono di convocare un Concilio Plenario delle Chiese particolari della Sardegna
- 14 novembre 1986: Il presidente dell’episcopato sardo, Giovannni Canestri, chiede l’autorizzazione alla Congregazione per i vescovi
- 2 Marzo 1987: Il Prefetto della Congregazione per i Vescovi, card. Bernardin Gantin, comunica che il Papa il 27 febbraio ha approvato e benedetto l’idea
- 1° marzo 1987: Monsignor Ottorino Alberti, arcivescovo di Cagliari, è eletto nuovo presidente del Concilio in sostituzione di mons. Canestri trasferito a Genova
- 6 gennaio 1992: Indizione solenne del Concilio nella basilica di N. S. di Bonaria
- 8 settembre 1993: Lettera pastorale dei vescovi sardi “La Chiesa oggi in Sardegna, per evangelizzare, santificare, servire”
- 7 gennaio 1995: Apertura ufficiale del Concilio nella cattedrale di Oristano
- 4-5 gennaio 1999: Seconda sessione plenaria del Concilio a Oristano
- 21-22 giugno 1999: Terza sessione conciliare a Oristano
- 28-29 febbraio 2000: Quarta e ultima sessione a Sassari
- 9 gennaio 2001: Prima “recognitio” della Santa Sede
- 18 maggio 2001: Approvazione definitiva della Congregazione per i vescovi
- 1° luglio 2001: Promulgazione ufficiale degli Atti del Concilio e loro consegna al Popolo di Dio nella basilica di N. S. di Bonaria