A partire dall’11 maggio saranno numerose le ricorrenze nel 2021, con date che scandiranno la vicenda biografica del cappuccino sardo
di Padre Tarcisio Mascia
A giorni, l’11 maggio, ricorre la festa di Sant’Ignazio da Laconi. Quest’anno, oltre alla ricorrenza annuale, ricordiamo una serie di coincidenze che non vogliamo passare sotto silenzio. Infatti ricorrono 320 anni dalla sua nascita, 300 anni dal suo ingresso in convento, 240 anni dalla sua morte, 70 anni dalla sua canonizzazione: sono date che scandiscono la vicenda biografica di questo santo cappuccino (1701-1781), verso il quale i Sardi nutrono una grande devozione.
Quando egli nasceva in un paese sperduto dell’Isola, era anche l’alba di un nuovo secolo, quel secolo spesso indicato come il secolo dei lumi, cioè di quel vasto movimento culturale-filosofico diffusosi in tutta Europa e principalmente in Francia.
L’illuminismo, grazie ai suoi noti esponenti riuniti intorno all’ “Encyclopédie”, esaltava il ruolo della ragione rigettando ogni speculazione di tipo metafisico e religioso. Artefice di questi mutamenti era la classe borghese, che incominciava a provare insofferenza per le vecchie regole che mettevano al vertice della società e del potere, le classi privilegiate (nobiltà e clero).
Il Settecento fu anche caratterizzato da tre rivoluzioni: la rivoluzione americana, la rivoluzione francese e la rivoluzione industriale, che determinarono grandi mutamenti nel corso della storia.
Con la rivoluzione francese (1789) si cominciarono ad affermare i principi di libertà, uguaglianza e fraternità. La rivoluzione industriale, dal canto suo, determinò un progressivo aumento delle industrie e più in generale un totale mutamento della vita sociale. Tutto ciò portò ad un profondo mutamento della famiglia, che perse ogni valenza educativa. Anche le donne e i bambini furono inseriti nella fabbrica e le loro condizioni di vita diventarono durissime.
Ancora. Il Settecento portò a compimento il processo di laicizzazione che andò a toccare anche l’ambito educativo. Difatti, vennero a costituirsi modelli educativi che erano lontani dai principi religiosi del passato e che miravano alla formazione di un uomo come cittadino artefice del proprio destino.
E tuttavia il Settecento fu anche un secolo di Santi, fra i quali ricordiamo i più noti: Benedetto Giuseppe Labre, Giovanni Battista de La Salle, Luigi Maria Grignon de Montfort, Alfonso Maria de’ Liguori, Gerardo Maiella, Paolo della Croce, Teofilo da Corte, Leonardo da Porto Maurizio. Con loro ricordiamo i santi cappuccini: Angelo d’Acri, Crispino da Viterbo, Felice da Nicosia, Ignazio da Santhià, Veronica Giuliani e ovviamente il nostro Ignazio da Laconi.
La Sardegna, quando nasce il nostro Ignazio, è contesa tra le potenze europee e coinvolta nei conflitti dinastici. Scoppia così la guerra di successione, alla quale partecipano anche i sardi, divisi in due partiti, guidati rispettivamente da Francesco di Castelvì ed Artal de Alagòn. La guerra si chiude con la pace di Londra (1718) e Vittorio Amedeo II nel 1720 diventa re di Sardegna. Per questo il regno di Sardegna costituisce la realizzazione di un sogno perseguito da tempo dal sovrano di casa Savoia, che lo pone fra le grandi casate d’Europa.
Gli anni che seguono saranno caratterizzati da una serie di riforme (riformismo sabaudo), fra le quali l’introduzione della lingua italiana nelle scuole sarde, la rifondazione delle Università di Sassari e di Cagliari, la revisione dei consigli comunali, l’istituzione dei monti frumentari. Quando il secolo si avviava alla conclusione ci furono le rivolte anti piemontesi del 1794 e 1796, celebrate ora dalla Regione come “sa die de sa Sardigna”. Solo nel secolo successivo si giungerà all’abolizione del feudalesimo.
Ma “alla Sardegna del Settecento – scriveva Remo Branca, biografo illustre di Fra Ignazio – bastavano le sue leggende, le sue storie antiche, le sue superstizioni ed il senso tranquillo e stagionale della vita agricola e pastorale, mentre la nuova civiltà cristiana riaffermandosi fin dai primordi del secondo millennio di Cristo, trovava soprattutto nel senso fatalistico della vita, fra le popolazioni dell’interno, un grave ostacolo. Ognuno rassegnato nel chiuso recinto del destino.”
Questo è il quadro storico nel quale si trovò a vivere fra Ignazio, che forse era totalmente inconsapevole di quanto avveniva intorno a lui e nella sua terra.
“La lunga onda dell’anticlericalismo che si abbatté come un uragano sull’Europa della seconda metà del secolo XVIII, per poi continuare per tutto l’Ottocento e oltre, vuotò i conventi, fece martiri e scristianizzò larghi strati della società.” (Mariano d’Alatri, I Cappuccini, Roma 1994, p. 119). Ma quando Ignazio bussava alla porta del Convento Maggiore di Cagliari per esservi accolto, l’uragano non si era ancora abbattuto né sui Cappuccini né sugli altri Ordini religiosi. Perciò all’epoca, entrando in convento, egli trovava oltre un’ottantina di frati soltanto nel Convento Maggiore: dunque una situazione in pieno sviluppo, si direbbe florida, che ben faceva prevedere per gli anni successivi.
L’Ordine dai Cappuccini, fondato nel 1525, era stato trapiantato in Sardegna nel 1591. Erano stati fondati in quell’anno i primi conventi (Cagliari e Sassari) e nel 1608 era stata eretta la provincia di Sardegna. In seguito, nel 1697, la Provincia, a motivo della sua grande estensione, sarà divisa in due: Provincia Calaritana e Provincia Turritana, ciascuna con una decina di conventi e con oltre 200 frati.
Ignazio da Laconi, entrando in convento nel 1721, diventava membro della Provincia Calaritana. Qui, a Cagliari, svolgerà per quarant’anni l’ufficio di questuante per le vie della città e qui crebbe in virtù e grazia, seminando ovunque il seme della Parola di Dio ed edificando tutti con la sua bontà.
Negli anni 1773-1776 fu a Cagliari, in qualità di cappellano luterano del reggimento Royal Allemand, il pastore tedesco Joseph Fuos, che nel suo libro di memorie “Nachrichten aus Sardinien” (1780) ha lasciato un ritratto della Sardegna di quegli anni, nel quale descrive le condizioni di vita delle persone, lo stato delle strade infestate dai banditi e le distanze enormi che tenevano lontani i villaggi di contadini e pastori, emblema di uno spopolamento causa ed effetto della povertà. Egli offre, nelle sue pagine, accese di una vis polemica sia contro l’incapacità dei piemontesi sia contro la pigrizia dei sardi, uno spaccato utile alla ricostruzione della società sarda nella seconda metà del Settecento. E tra quelle stesse pagine il Fuos non ha mancato di accennare alla figura di Fra Ignazio da lui incontrato durante il suo servizio a Cagliari. “Noi godiamo qui – scrive – una fortuna, la quale prova che la fede nel miracolo non è ancora estinta nella Chiesa. Noi vediamo cioè tutti i giorni mendicare attorno per la città un Santo vivente… e si ha di già acquistato con parecchi miracoli la venerazione dei suoi compatrioti.”
Fra Ignazio morirà a Cagliari l’11 maggio del 1781. Aveva 80 anni. Ci vorranno molti anni ancora perché la sua santità sia riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa. Sarà Pio XII a beatificarlo (16 giugno 1940) e canonizzarlo in San Pietro (21 ottobre 1951) giusto 70 anni fa.