Povertà ed esclusione sociale in Sardegna nel Report Caritas 2017

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di Raffaele Callia

In occasione della prima Giornata mondiale dei poveri, celebrata domenica 19 novembre, due giorni dopo, presso il Consiglio regionale della Sardegna, la Delegazione regionale Caritas ha presentato il “Report 2017 su povertà ed esclusione sociale in Sardegna”.
Come ogni anno, il Report fa il punto sulle situazioni di disagio osservate attraverso la lente dei Centri di ascolto Caritas, oramai presenti in tutte e dieci le Diocesi della Sardegna. Dopo dieci anni di crisi economica, il Rapporto della Caritas – conformemente con i dati statistici sulla povertà relativa forniti dall’Istat nel luglio del 2017 – segnala una lieve diminuzione (-2,2%) del numero delle persone che si sono avvalse del sostegno della rete ecclesiale attraverso i Centri di ascolto.
In effetti, come segnalato recentemente sulle pagine di questo stesso giornale, i dati macroeconomici lasciano intravedere dei segnali incoraggianti sulle condizioni dell’economia mondiale, con indicatori che fanno ben sperare sulla progressiva uscita dalla crisi anche in merito al contesto italiano. Tuttavia, è bene rimarcare come in questi anni anche in Italia sia cresciuto in modo evidente il divario tra ricchi e poveri, con un processo di crescita della disuguaglianza nella distribuzione del reddito che appare di lunga durata e a livelli superiori agli altri Paesi dell’Ocse. In questo senso è da segnalare il fatto che proprio recentemente l’Istituto Cattaneo ha posto in evidenza come i primi sette miliardari d’Italia possiedano una ricchezza pari al 30% della popolazione e come il 20% dei più benestanti detengano patrimoni e liquidità con un valore pari al 69% della ricchezza complessiva. D’altro canto, dal 2008 al 2014 gli italiani appartenenti alle fasce più fragili hanno perso circa un quarto del loro reddito.
Nel corso del 2016, i Centri di ascolto Caritas della Sardegna, distribuiti nei 33 comuni coinvolti nell’indagine, hanno ascoltato una o più volte 7.692 persone portatrici di un disagio non solo personale ma familiare, il che farebbe moltiplicare tale indicatore a cifre ben più elevate. Non va trascurato il fatto che si tratta comunque della cosiddetta “punta di un iceberg”, in quanto molte persone non conoscono i servizi offerti dalla rete ecclesiale e tante altre non hanno il coraggio di chiedere aiuto. Fra le nuove fragilità che la Chiesa sarda, attraverso la Caritas, sta intercettando come particolarmente significative vi sono quelle legate al mondo giovanile. I dati assai problematici relativi alla disoccupazione giovanile, al fenomeno dei NEET (giovani che non studiano, non si formano e non lavorano), alla dispersione scolastica e al declino demografico, pongono il tema del disagio giovanile come una questione particolarmente urgente. Si potrebbe dire che per provare a sradicare la povertà in Sardegna (come nel resto d’Italia) bisognerebbe adottare una vera e propria opzione preferenziale nei confronti dei giovani. In questa prospettiva, se si volesse tracciare un profilo medio delle persone che chiedono aiuto alla Caritas, i dati dei Centri di ascolto confermano una fotografia già emersa da diversi rapporti istituzionali. Oggi si trova a chiedere aiuto un quarantenne, uomo o donna (l’età media delle persone che si rivolgono ai Centri di ascolto Caritas è di circa 46 anni), con un livello d’istruzione basso o medio-basso, che non ha ancora trovato lavoro o che lo ha perso, oppure che ne ha uno precario, non in grado (per durata e trattamento economico) di far fronte ai bisogni suoi e della propria famiglia. Peraltro, non è da trascurare il fatto che una persona ogni cinque di quelle ascoltate ha un’età compresa fra i 15 e i 34 anni. Persiste in Sardegna una disoccupazione giovanile (nella classe d’età 15-24 anni) fra le più elevate d’Italia. Inoltre, continua ad essere significativa, seppure in diminuzione nell’ultimo anno, la quota di giovani sardi fuori dal processo formativo e produttivo. Inoltre, la dispersione scolastica – nonostante gli sforzi messi in campo in questi ultimi anni a livello istituzionale – continua a rappresentare una delle questioni più urgenti. La Caritas in Sardegna, raccogliendo l’impulso derivante dal livello nazionale, aderisce alla “Alleanza regionale contro le povertà” (composta anche in Sardegna da diversi organismi), attraverso cui ribadire nelle sedi opportune l’urgenza di un piano di eradicazione della povertà e di una misura universalistica rivolta a tutte le famiglie che vivono in condizioni di povertà assoluta. In questa prospettiva, se da un lato è da considerare positivo lo sforzo che si sta facendo per tradurre operativamente l’attuazione delle misure di contrasto del disagio sociale con un approccio distante dal mero assistenzialismo, come si evince dalla ratio della legge regionale istitutiva del reddito di inclusione sociale (REIS), denominata “Agiudu torrau”, dall’altro lato non si può fare a meno di rilevare che proprio sull’implementazione del REIS si registrano non poche difficoltà legate ad una non sempre congrua infrastrutturazione sociale a livello territoriale (PLUS), con ritardi nell’applicazione e un coinvolgimento degli attori del Terzo settore che ancora non appare adeguato rispetto alla visione che aveva animato l’approvazione del provvedimento. A questo proposito la Caritas segnala i ritardi e le difficoltà che riguardano: il coordinamento territoriale degli interventi; il raccordo degli interventi economici con quelli sociali, lavorativi, formativi ed educativi; la costituzione delle équipe multidisciplinari, dei comitati locali di garanzia sociali e degli altri organismi previsti dalla legge; la debolezza negli organici rispetto agli operatori preposti alla presa in carico (assistenti sociali), con evidenti difficoltà nella predisposizione, avvio e cura dei piani personalizzati; lo scarso coinvolgimento del Terzo settore e dei vari attori sociali presenti nel territorio, in particolare nella co-progettazione.

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