Un occhio sul cielo, ormai dimenticato

926 visualizzazioni
3 minuti di lettura

L’Osservatorio astronomico, istituito sull’isola di San Pietro nel 1889, gloria e vanto dei Carlofortini. La sua parabola, scientifica e culturale

di Nicolo Capriata

Per più di ottant’anni è stato gloria e vanto degli isolani. Da oltre quaranta è stato “buttato” nel cestino dell’oblio. Si tratta dell’osservatorio astronomico di Carloforte istituito nel 1899 dalla Commissione Geodetica Internazionale con il preciso compito di studiare gli spostamenti dell’asse terrestre, il cui movimento determina la misura delle latitudini. Prima dell’avvento dei satelliti, in orbita attorno alla terra, che hanno consentito misure ancora più precise e l’inutilità delle misure terrestri, erano cinque gli osservatori astronomici, tutti ubicati alla stessa latitudine, nel mondo: due negli Usa, uno in Giappone, uno in Russia e uno in Italia, a Carloforte appunto. La scelta della località fu mirata, avvenuta dopo una comparazione di altri luoghi del meridione d’Italia e in Sardegna. Per la commissione geodetica Carloforte fu preferita “per la sua logistica, e i suoi buoni collegamenti, per il suo clima salubre e per la qualità della vita”. A compiere le osservazioni furono chiamati dei giovani ma competenti astronomi, che in seguito divennero direttori delle più importanti stazioni astronomiche italiane (Arcetri, Napoli, Trieste ecc.). A suggellare inoltre il grande interesse della struttura scientifica fu Guglielmo Marconi, presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che a partire dal 1932 nominava membri di diritto del C.N.R. tutti i direttori che si succedevano alla guida dell’osservatorio. Non si può non aggiungere che tutti questi scienziati hanno avuto un feeling particolare con i carlofortini, partecipando alla loro vita sociale o addirittura facendosi fautori di diverse iniziative, a partire da Luigi Volta, tris nipote del più famoso Alessandro, che amò profondamente Carloforte, tanto da passarci le vacanze quando non era più in servizio. Come non si può non ricordare Gugliemo Righini, che partecipò come attore nell’operetta “Terra Nostra”, scritta per celebrare il 200° della fondazione di Carloforte, o Paolo Vocca, che fece diverse conferenze per la popolazione su l’origine ed evoluzione dell’universo. Ancora Giovanni Peisino, collaboratore del numero unico “Il Carolino”, o Ettore Martin, protagonista di memorabili partite a scacchi nel locale “circolo Commerciale. Senza poi trascurare il fatto che ben quattro di loro a Carloforte incontrarono l’amore e si sposarono. L’osservatorio astronomico di Carloforte, seppure non come compito primario, ha svolto anche altre rilevazioni scientifiche. Per moltissimi anni e fino verso agli anni cinquanta del secolo scorso fu stazione sismica, che con i suoi due sismografi era collegata ad altri centri di sismologia. Fin dalla sua istituzione, inoltre, gli astronomi che si sono succeduti, hanno raccolto quotidianamente ed elaborato una grande quantità di dati meteorologici (temperatura, pressione atmosferica, piovosità, velocità e direzione del vento ecc.) che nel tempo sono diventati preziosissimi per gli studiosi di diverse discipline. Perché raccolti assieme ai lavori specifici dagli stessi astronomi in almeno duecento opuscoli.  Come si può capire un grande patrimonio scientifico e culturale che ha dato lustro e prestigio a Carloforte, interzionalmente conosciuto da tutta la comunità scientifica. Ma oggi che cosa è rimasto di tutto ciò? Niente, tutto è scomparso, strumentazione e documenti, nel silenzio, tra l’indifferenza di tutti. Eppure negli anni settanta del Novecento appena si paventò l’idea di eliminare la stazione astronomica tutta la popolazione scese in piazza per scioperare. Quando è stato dismesso il servizio delle latitudini, perché ormai inutile con le nuove misurazioni elettroniche, tutto è stato trasportato nell’osservatorio di Capoterra e la stazione di Carloforte completamente smantellata. Con il risultato, che i documenti sono ammassati in scatole polverose delle quali nessuno se ne occupa e gli strumenti, telescopio, sismografo e quant’altro, sono finiti al museo della scienza di Selargius. Solo a ricordare queste cose, fa davvero male al cuore. Nessuno ha pensato di realizzare un piccolo museo che potesse raccogliere oggetti significativi della sua storia. L’ultima persona che con grande convinzione cercò di rivalutare l’osservatorio alla fine dei suoi compiti fu l’ultimo direttore della stazione, il prof. Flavio Fusi Pecci, che ne voleva fare la sede storica dell’astronomia italiana. Promosse per tale scopo anche dei congressi internazionali e degli incontri con i più grandi astronomi italiani tra i quali Margherita Hack. Ma i suoi tentativi purtroppo caddero nel vuoto.  È pur vero che l’edificio dell’ormai fu osservatorio (la Torre San Vittorio realizzata nel 1766 ) è diventata la sede di un piccolo museo multimediale, che però non contiene tracce e non accenna minimamente al suo trascorso. Un’altra traccia del passato carlofortino si è irrimediabilmente persa tra l’ignoranza e l’insensibilità di tanti.