I roghi in Sardegna, la sofferenza del Creato: la relazione tra eventi estremi, dagli incendi alle alluvioni, e cambiamenti climatici
di Giampaolo Atzei
Ora siamo qua a lamentarci, a cercare il colpevole, quasi sperare che una mano assassina e vile abbia appiccato questo fuoco così disastroso. In fondo però sappiamo che le cose non sono proprio così e lo sappiamo da tempo, perché non basta scaricare colpe di queste piaghe mai risolte della nostra terra sul solito piromane criminale. Sappiamo tutti, i nostri social, le allerte meteo nelle app del telefono, che domenica era una giornata ad alto rischio incendio e così è stato, sappiamo come è andata a finire. Ma cosa davvero stiamo facendo per prevenire queste cicliche tormente di fuoco sulla nostra terra? Il sottobosco dei nostri monti è curato e pulito? Le nostre campagne sono seguite nel modo opportuno, le cunette delle strade sono libere dall’erba alta e secca? Il servizio di antincendio era pronto come richiesto? Sono domande retoriche il più delle volte, un rapido giro attorno a Monteponi ci consegna alla vista gli scheletri delle piante arse quattro anni fa, vecchi pini bruciati e piegati dal fuoco giacciono inermi, pronti a far brace, a pochi metri dalla strada. I tempi lunghi delle inchieste, la trascuratezza degli uomini, la povertà di mezzi delle amministrazioni comunali, i lacci della burocrazia: un mix esplosivo che innesca in un lampo il peggiore dei castighi. Possiamo comprendere ma non giustificare.
Ma non è tutto, anzi c’è qualcosa che rischia di metterci con le spalle al muro e che spesso non vogliamo vedere. Dopo l’incendio di Monteponi, la diocesi di Iglesias volle dedicare la giornata per la custodia del creato alla terra percorsa dal fuoco, fu l’occasione per un cammino nel deserto delle nostre campagne bruciate per riscoprire la ricchezza della casa comune, la bellezza del Creato che custodiamo inconsapevoli dietro le nostre case. Un mondo messo a dura prova dai cambiamenti climatici, lo diciamo da tempo. Così, non sarà un caso che gli incendi sardi siano scoccati in condizioni estreme, un caldo di rara potenza anche dalle nostre parti, mentre da altre parti d’Europa si annegava sotto la pioggia e i vetri delle auto erano sfondati dalla grandine. Diritto e rovescio della stessa medaglia. E che dire degli incendi in Australia, in America, in Portogallo, che hanno devastato per settimane, per mesi, quelle nazioni? In un pianeta dove il clima appare impazzito, anche la prevenzione degli eventi calamitosi deve cambiare passo e questa è la sfida che ci attende, ritrovare l’equilibrio con l’ambiente, limitare il consumo di suolo, adeguare le risorse e gli sforzi del passato, perché probabilmente quanto si faceva prima (e ora) non basterà in futuro per fronteggiare catastrofi naturali – di acqua, terra, aria e fuoco – che saranno verosimilmente ancor più frequenti e intense.
Intanto, spente le fiamme, asciugate le lacrime, rimane la terra nera, bruciata ma non vinta, perché siamo un popolo tenace, pieno di fede, ricco di lavoro. Rinasceremo, come i germogli delle piante millenarie che dal profondo delle radici troveranno la linfa per darci il segno della vita che continua, che vince sulla morte, sulla coltre di cenere stesa sulla Sardegna in una torrida domenica di luglio. E i vecchi tronchi arsi, come quello cui dedichiamo la copertina di questo numero, rimarranno a ricordarci il sofferto grido di dolore della nostra natura che sempre ci chiede: perché?