Le Caritas diocesane riunite a Scanzano Jonico per il 41° Convegno nazionale

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Carità è cultura, una dimensione “educante” da riscoprire

di Raffaele Callia

A Scanzano Jonico, nella Diocesi di Matera-Irsina, dal 25 al 28 marzo 2019 si è tenuto il 41° Convegno nazionale delle Caritas diocesane, dal titolo “Carità è cultura”. Il 41° Convegno, tenutosi nell’anno che vede Matera quale capitale europea della cultura 2019, ha costituito un importante momento di confronto per restituire speranza alle nostre comunità ecclesiali, facendo riscoprire la dimensione “educante” della carità, con un rinnovato investimento sulla cultura e sulla formazione delle coscienze.
Come ha sottolineato il direttore della Caritas Italiana, don Francesco Soddu, fin dall’epoca apostolica “l’attività caritativa della Chiesa manifesta il rapporto stretto esistente tra carità e cultura. L’azione del credente non si configura come la reazione spontanea ad un qualcosa che accade ma, pur essendo la naturale conseguenza operativa che sgorga dalla propria adesione al Vangelo, si pone come risultato mai compiuto ed in permanente essere, che parte perciò dalla riflessione profonda sul mistero di Cristo applicato alla storia e ancor di più dalla preghiera, così come emerge fin dalla vicenda sulla istituzione dei diaconi. Per questo motivo si potrebbe dire che per il credente, per il cristiano, non è possibile immaginare una cultura che sia disgiunta dalla carità. Il modo di essere della persona nello spazio e nel tempo, in questo peculiare aspetto che più di ogni altro lo identifica, non può essere relegato o totalmente slegato da tutte quelle facoltà che lo caratterizzano in quanto essere pensante, essere in relazione, essere sociale”.
Un impegno importante nella Chiesa e nella società civile, quello assunto dalle Caritas diocesane d’Italia, che oltre a rispondere concretamente ai tanti bisogni espressi in varie parti del Paese da persone e famiglie in condizioni di fragilità è anche in grado di produrre cultura e di elaborare una sensibilità condivisa, rispetto a cui lo stesso presidente della CEI ha avvertito il dovere di esprimere una profonda gratitudine, nel suo messaggio rivolto agli otre 500 partecipanti al Convegno: “Consentitemi di esprimervi la riconoscenza della Chiesa italiana per il servizio tanto umile quanto prezioso che portate avanti con la vostra presenza… operosa, concreta… che nasce sempre da una cultura della vita, da un’appartenenza, da un’esperienza evangelica che si lascia interrogare dalla realtà e dall’incontro con situazioni e persone; e che, proprio per questo, diventa a sua volta segno, testimonianza, pedagogia capace di reagire alla cultura della paura e della divisione”. Ogni giorno, dunque, la Chiesa che testimonia l’amore di Dio è una comunità di credenti che fa cultura e che è in grado di interagire nella storia dell’umanità.


Mons. Bizzetti, al servizio della Caritas per costruire ponti dalla Turchia all’Italia

di Emanuela Frau

02. Foto mons. BizzettiLa seconda giornata del 41° Convegno ha offerto ai partecipanti una lucida riflessione di mons. Paolo Bizzetti, gesuita e Vicario apostolico di Anatolia, a cui Caritas Italiana ha espressamente richiesto uno sguardo critico dalle periferie dell’Europa ai confini della Siria, da cui emergesse, in particolare, una “lettura” da una Chiesa in minoranza, la cui Caritas sta provando a reinventarsi, in un Paese con il più alto numero di profughi. Presidente di Caritas Turchia da poche settimane, mons. Bizzetti riferisce che ha percepito il suo nuovo impegno in Caritas come una missione “per costruire ponti dalla Turchia all’Italia”. Ha subito puntato il dito sull’attuale modo di fare giornalismo ricordando, con nostalgia, la figura di eccellenti giornalisti, tra cui Tiziano Terzani, domandandosi come possa esser diventato così desolante oggi il panorama dell’informazione, che non racconta la verità e che si affida sempre più a giornalisti che pescano le notizie sul web, senza fare giornalismo d’inchiesta.
Nonostante la drammatica situazione sociale della Turchia, persiste il ruolo centrale della famiglia che prova a farsi carico delle fragilità umane. Gli operatori di Caritas Anatolia, impegnati su più fronti nel sostenere i poveri, attribuiscono un importante valore alla preghiera che, come sottolinea mons. Bizzetti, è essenziale nella vita dei volontari, i quali immersi nel cercare di risolvere i problemi materiali rischierebbero di diventare dei “burocrati della carità”, alla maniera occidentale. La sua riflessione si è concentrata sull’indifferenza di una società che “non vuol vedere i poveri e i loro diritti”. Mons. Bizzetti sottolinea a questo proposito che la solidarietà, che in Europa è nata in ambito cristiano, oggi sta svanendo, anche in ambito Caritas; appare urgente, dunque, lavorare sui principi che animano il nostro agire. Il Presidente di Caritas Turchia si è poi lasciato andare a degli opportuni riferimenti alla linea politica dell’attuale governo Italiano che giudica “inaccettabile”, soprattutto quando, con il Vangelo in mano, rivela una disarmante incoerenza mentre parla di porti chiusi per chi scappa disperatamente dal proprio paese. Bizzetti ha poi parlato di una Caritas che rischia di diventare una realtà secolarizzata “se pensa solo al fare”; a suo avviso bisognerebbe riconoscere la Caritas come realtà connessa con la persona di Gesù Cristo”; perché se non si facesse riferimento al trascendente si compirebbe solo un’opera sociale e il rischio di dimenticare quale sia il senso del nostro donare sarebbe dietro l’angolo. Mons. Bizzetti percepisce che il Cristianesimo oggi si stia lasciando sedurre dal nazionalismo.
Dopo questa precisa analisi della Chiesa in Italia e in Europa, è passato al confronto con ciò che sta avvenendo in Turchia, dove emerge chiaramente la capacità di far convivere tante diverse religioni. Si domanda dove sia finito il Cristianesimo europeo di un tempo! Fatica a comprendere il motivo di un atteggiamento tanto ostile nei confronti del pensiero di papa Francesco. In Italia il silenzio della parte cristiana della politica, riguardo la chiusura nei confronti degli stranieri contro cui vengono eretti nuovi muri, è imbarazzante al punto che lascia “allibiti i cristiani del Medioriente”. Si fanno accordi economici con Paesi che violano i diritti umani ma non ci si chiede “a quali condizioni” si permetta tutto questo. Con l’auspicio che si ritorni ad essere cristiani e a coltivare la memoria, conclude citando Primo Levi: “chi dimentica il passato è condannato a riviverlo”.


Dai gruppi di lavoro “la centralità dell’ascolto”

di Aldo Maringiò

Nel pomeriggio di martedì 26 marzo e durante la sessione mattutina di mercoledì 27 i partecipanti al convegno sono stati impegnati a lavorare in gruppo e a scambiarsi delle opinioni intorno al tema “Carità è cultura”. Sono stati identificati a tale scopo quattro raggruppamenti tematici: 1) “Lo sviluppo e l’animazione della comunità”; 2) “La qualità pastorale delle opere/servizi segno”; 3) “La costruzione di reti e collaborazioni territoriali”; 4) “La formazione degli operatori e della comunità”.
La domanda comune a tutti i gruppi è stata: “Come, la carità (Caritas), può educare/generare cambiamento culturale nei singoli e nelle comunità?”. Personalmente ho partecipato al gruppo inerente la “formazione degli operatori e delle comunità”. Ci siamo interrogati su quanto la carità sia o non sia cultura in rapporto alla formazione degli operatori e della comunità; quali processi di cambiamento genera. Tutti abbiamo concordato, con diverse modalità, che la carità genera cultura se genera coinvolgimento del singolo e della comunità sia religiosa che civile e non è delegata solo ad alcune persone di buona volontà. Al contrario, la carità non è cultura se nel tempo non genera, non stimola negli operatori – e di conseguenza nella comunità – processi di cambiamento, di accompagnamento, di servizio, di attenzione, di accoglienza a partire da se stessi e dagli altri.
Aspetto fondamentale, emerso quale elemento essenziale da presidiare, è la necessità di migliorare, tenendosi al passo con i tempi, la qualità della formazione. Alcuni elementi chiave emersi durante lo scambio tra i partecipanti al gruppo: ascolto degli operatori; vicinanza al territorio; attenzione al singolo; formazione spirituale; discernimento costante – farsi domande per generare risposte; formazione a cascata: avere la capacità di trasferire competenza; necessità di coinvolgere i giovani per generare cambiamento culturale rispetto alla carità (Caritas).
È emerso come elemento fondamentale “la centralità dell’ascolto”, ancora prima di una proposta formativa, utilizzando vari metodi a disposizione. Nel processo formativo non bisogna perdere di vista l’obiettivo prefissato, attuando delle verifiche in itinere e dopo gli incontri formativi. L’ascolto dovrà essere partecipativo, mettendosi in una logica di parità. La formazione dovrà essere a 360° e rivolta a tutta la comunità. Questo farebbe emergere nuovi bisogni o bisogni nascosti che aiuterebbero a costruire un linguaggio nuovo. Una particolare attenzione deve essere rivolta ai futuri sacerdoti nei seminari e anche ai sacerdoti: questo renderebbe più agevole la formazione da parte delle Caritas diocesane verso le Caritas parrocchiali esistenti e l’istituzione di nuove Caritas, qualora non ci fossero. Altri aspetti importanti emersi sono: l’attenzione nel prendersi cura di chi si prende cura e la formazione permanente dei formatori. Su questi ultimi due punti la Caritas regionale sarda si sta impegnando già da tempo, provando a migliorare la qualità della formazione nelle varie Caritas diocesane dell’Isola.


Tavola rotonda su carità e cultura, l’importanza della comunicazione

di Maria Marongiu

04. Foto Tavola rotonda ConvegnoIl XLI Convegno nazionale di Caritas Italiana ha vissuto il suo momento conclusivo nella Tavola Rotonda, cui hanno preso parte il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, il direttore dell’Espresso, Marco Damilano, e lo scrittore e vaticanista, Gian Franco Svidercoschi. Ha coordinato Paolo Lambruschi, giornalista di Avvenire.
I partecipanti hanno affrontato il tema del Convegno “Carità è cultura” dal punto di vista della comunicazione, partendo dalla considerazione che, per diventare cultura, la carità deve essere comunicata in modo adeguato. Ciascuno ha offerto il proprio punto di vista, partendo da un’analisi della situazione attuale, in cui i media influenzano la mentalità corrente in maniera determinante diventando, quindi, potenti veicoli di cultura. Damilano ha evidenziato come, negli ultimi decenni, dal punto di vista politico la comunicazione ha sostituito l’organizzazione: se prima esisteva un rapporto tra persone all’interno di una comunità, oggi questo rapporto diretto è stato sostituito dalla comunicazione, lasciando la società civile priva d’interlocutori. È aumentato notevolmente il numero di coloro che, percependosi esclusi e sentendo l’esigenza di autorappresentarsi, lo fanno utilizzando le reti sociali senza intermediazione, veicolando e alimentando sentimenti di rancore e di disprezzo verso l’altro. “I nemici diventano sia quelli che stanno in alto, sia quelli che stanno in basso: i nuovi esclusi, quelli che ci tolgono qualcosa che si era conquistato”. La politica, ma anche certa stampa “specchio”, inseguono questo fenomeno esaltandolo, senza cercare di ricostruire luoghi dove la mediazione sia resa possibile.
Secondo Svidercoschi, anche la Chiesa, soprattutto a livello gerarchico, ha le sue responsabilità: in essa si è indebolita la visione escatologica, e ne è derivato un appiattimento dell’uomo verso posizioni d’indifferenza. L’invito di Tarquinio è stato quello di guardare avanti, stare dentro le città “partendo da quelle periferie che ne costituiscono l’inizio e non la fine”. È necessario rifiutarsi di veicolare il linguaggio dell’odio e dell’insulto, rispondendo a questa deriva con la tenerezza, consapevoli di vivere in una società che dice di essere cristiana, ma in cui il cristianesimo viene spesso cinicamente strumentalizzato ed asservito a sentimenti e comportamenti che ne sono l’antitesi. Anche per Damilano assistiamo al paradosso di una Croce brandita come arma di chiusura, al fatto che l’istinto della paura è più forte rispetto a quello dell’aiuto, della solidarietà; è un pericolo che va affrontato restituendo valore a quelle pratiche umane di bontà, di misericordia, di altruismo, con una testimonianza credibile.
Svidercoschi sottolinea come la carità rappresenti l’unica via percorribile, ma la sua testimonianza deve avere tre caratteristiche: credibilità, cioè coincidenza tra valori enunciati e vita, gratuità, valore assai poco sperimentato, e universalità del servizio, una carità senza confini, che non distingue tra bisognosi ma promuove pace e giustizia. Infine Tarquinio, invitando tutti a non avere paura di rimettere le buone parole al loro posto, chiede alla Caritas di continuare a dare segni concreti di umanità: “l’avversario da sconfiggere è questa ideologia dell’individualismo, che dimentica le relazioni umane”, che vanno invece coltivate e promosse sempre e dovunque.
Al dibattito è seguita la toccante testimonianza di Ansou Cisse, un profugo diciannovenne senegalese che ha raccontato la sua esperienza di migrante, il suo percorso in integrazione realizzato grazie allo studio dell’italiano e allo sport; ora gioca nella squadra del suo paese e, a differenza di molti che vedono nell’Italia un luogo di passaggio, lui vuole restare qui per “restituire il bene ricevuto”.