I condannati del Covid: nelle periferie del mondo, in casa nostra

612 visualizzazioni
2 minuti di lettura
wooden window of weathered rustic house in village
Photo by Plato Terentev on Pexels.com

di Giampaolo Atzei 

All’inizio era una percezione, supportata dalla quotidiana esperienza delle difficoltà in questo tempo di malattia, adesso sono arrivati pure i numeri per confermarci che non si muore di solo Covid. Siamo ormai un anno dentro questa bolla della storia, una sospensione delle nostre vite di cui non si intravede ancora una fine certa: all’inizio abbiamo cantato dai balconi, abbiamo appeso gli arcobaleni alle finestre convinti che sarebbe andato tutto bene. E invece siamo ancora qui, in attesa della terza ondata di una pandemia che ha avvolto con la sua nebbia il mondo intero. Siamo soli nella nostra incertezza, eppure tutti sulla stessa barca, avendo nel cuore e nella mente l’immagine di Francesco nella piazza San Pietro deserta, dieci mesi fa, pare solo ieri ma è quasi una vita fa.
La pandemia ci avrebbe dovuto essere buona maestra per il futuro ma non pare che sia stata un’insegnante seguita dai suoi allievi. Ognuno ha i suoi guai e non è buona cosa guardare nel giardino degli altri, eppure vediamo cose che lasciano perplessi nella nostra Italia, a partire dalla politica che si è avvitata su sé stessa, perdendo in maniera crescente la prossimità con la gente, fino al punto di una crisi di governo che ha tutti i requisiti di un salto nel buio: davvero non è il miglior momento per sedersi al tavolo da poker delle poltrone.
In tutto ciò, le distanze sociali si fanno sempre più larghe. I ricchi sono  sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, con i primi dieci uomini più ricchi del mondo che sono riusciti ad incrementare il loro patrimonio di 540 miliardi di dollari, quanto sufficiente per vaccinare tutto il pianeta, anche se così non sarà. Nelle periferie del mondo la pandemia ha scavato un solco ma non bisogna andare in Africa o America Latina per scoprire i nuovi poveri, i condannati da Covid. Pensiamo alla salute, nelle nostre comunità quante persone hanno perso un turno di visita specialistica, una consulenza, la costanza nella cura per causa della pandemia?
Nel numero 3/2021 parliamo delle associazioni dei malati di Parkinson, dei dializzati, ma le nostre famiglie custodiscono, ognuna, il patimento che questa crisi, nella endemica fragilità della rete sanitaria locale, ha creato ad una ordinaria amministrazione che già era complessa. Ed ecco che scopriamo che un terzo dell’incremento dei morti nell’ultimo anno è un effetto collaterale del Covid, una bomba intelligente che va a colpire chi da tempo è fragile. In questo quadro, il passaggio della Sardegna in fascia arancione ha prodotto un ulteriore danno al settore della ristorazione, della piccola impresa che aveva scommesso sul turismo. Come un colpo improvviso di mannaia, da domenica scorsa, per due settimane, avremo ristoranti chiusi e frontiere comunali, nella speranza di un improbabile ripensamento da parte di un governo oramai evanescente. Una situazione
drammatica in una terra affamata di speranza.