Elena, la vita nelle mani

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Domusnovas. Compie 90 anni la signora Elena Lillus, l’ostetrica del paese

di Maria Giovanna Dessì

Ha spento lo scorso 8 giugno 90 candeline. La signora Elena Lillus sognava fin da bambina di diventare ostetrica, mestiere esercitato anche da sua zia. Sogno realizzato a 20 anni quando, terminati gli studi, inizia l’avventura che la porterà a far nascere settemila bambini in quarant’anni. Numeri da record, che appartengono ad un’epoca in cui di bambini ne nascevano 200 all’anno, quando, nonostante le poche risorse economiche, le famiglie arrivavano anche a dieci figli, un po’ per l’amore dei genitori, un po’ perché la prole rappresentava, comunque, una garanzia di sostegno nel lungo termine.
Prima di arrivare a Domusnovas, signora Elena, originaria di Sinnai, ha svolto il mestiere di condotta a Villassalto e Gonnesa. Una volta vinto il concorso, avendo rifiutato la sede di Carbonia, le è stato affidato il comune di Domusnovas dove ha sempre svolto la sua professione con grande autonomia. Grazie alla sua auto, poteva prestare servizio anche nei paesi limitrofi, non c’era zona che non potesse raggiungere, nonostante a quel tempo le strade fossero sterrati a malapena praticabili.
Oggi un’ostetrica va al lavoro in ospedale esattamente come fa l’operaio nella fabbrica: in quelle mura si svolge il lavoro e sono presenti tutti gli strumenti per operare in sicurezza. Per signora Elena il luogo di lavoro era la casa, ma non la sua, bensì ogni singola abitazione delle madri che ha assistito e che ha continuato a seguire per i primi 2 anni di vita di ogni bambino.
Questo, naturalmente, quando le condizioni erano ottimali, perché, in caso contrario, trasportava lei stessa le partorienti all’ospedale. Ripete spesso signora Elena: “Dietro ogni parto c’era un progetto, ma qualsiasi eccezione andava gestita con umiltà, per evitare il peggio. Per questo era fondamentale capire gli spazi del nostro mestiere e quelli dei medici”.
L’ostetrica non si occupava solo della nascita del bambino, ma con totale devozione accudiva la madre e tutte le sue necessità, dall’acquisto della camicia da letto al corredino per il bambino, in caso di necessità.
Racconta poi di come i tempi della maternità fossero diversi. Tradizione voleva che le madri restassero a letto per 5 giorni e che il terzo giorno si alzassero per fare un giro intorno al letto, per verificare il loro stato di salute. Tradizione che signora Elena stessa trasgredì, quando a poche ore dal suo parto si recò da un’amica che stava per partorire: “Le avevo promesso che l’avrei aiutata e così ho fatto”, afferma.
Erano differenti anche le modalità. Nel dopoguerra le mamme sole che partorivano e volevano mantenere l’anonimato potevano farlo. A Gonnesa questa pratica avveniva in una casa cantoniera, i bambini che nascevano venivano registrati in comune con i nomi che signora Elena sceglieva per loro, mentre il cognome era solitamente il nome di un fiore. Bambini che venivano poi accompagnati a Cagliari nell’orfanotrofio. Per lei le mamme e i bambini avevano tutti gli stessi diritti. “Una volta – racconta – una signora mi venne a cercare dopo tanto tempo, voleva ritrovare suo figlio, che a quanto pare avevo fatto nascere io, ma non avendo né il suo nome, né quello del bambino non ho potuto aiutarla”.
Compassionevole, sobria, paziente, riflessiva e prudente. Non collerica ed avara, non dedita alle civetterie. Così Platone descriveva l’ostetrica ideale, aggettivi che ci ricordano tanto la protagonista di questa storia.


Pubblicato su “Sulcis Iglesiente Oggi”, numero 30 del 9 settembre 2018