Dialogo e fratellanza nella terra di Abramo

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Dal 5 all’8 marzo la desiderata quanto storica visita in Iraq di papa Francesco riaccende la speranza per il futuro

di Raffaele Callia

Dal 5 all’8 marzo si è finalmente realizzata la tanto desiderata quanto storica visita del Papa in Iraq: una terra di straordinaria importanza e che, come ha sottolineato lo stesso pontefice, è da considerarsi una vera e propria “culla della civiltà strettamente legata, attraverso il Patriarca Abramo e numerosi profeti, alla storia della salvezza e alle grandi tradizioni religiose dell’Ebraismo, del Cristianesimo e dell’Islam”. Si è trattato di un viaggio storico, poiché è la prima volta che un Papa ha visitato l’Iraq; e allo stesso tempo rischioso, tenuto conto delle profonde tensioni che ancora percorrono quell’area mediorientale, dopo anni di conflitti armati e d’instabilità politica. L’Iraq rappresenta ancora oggi uno scenario strategico in cui si riflettono le tensioni in atto tra gli Stati Uniti d’America e l’Iran; proprio quest’ultimo, peraltro, vede con preoccupazione l’incontro del pontefice con il grande ayatollah Ali al Sistani nella città santa di Najaf, proprio perché agli occhi di Teheran questo potrebbe significare una sorta di riconoscimento di Najaf quale riferimento religioso degli sciiti di tutto il mondo, in luogo della città iraniana di Qom e della guida suprema iraniana l’ayatollah Ali Khamenei. Un viaggio rischioso anche per la sicurezza personale del pontefice, visto che quattro giorni prima della partenza per l’Iraq è stata attaccata la base militare di Balad, già oggetto di incursioni missilistiche nell’agosto scorso, e una settimana prima il gruppo Stato islamico ha ripreso l’iniziativa militare in diverse città irachene, compreso la capitale. Proprio Baghdad è stata la prima tappa del viaggio apostolico di Francesco ed è nella capitale, presso il palazzo presidenziale, che il pontefice ha incontrato il Presidente, i membri del Governo, la società civile e il corpo diplomatico. Nel suo discorso il Papa ha fatto cenno al tempo particolarissimo “in cui il mondo intero sta cercando di uscire dalla crisi della pandemia da Covid-19, che non ha solo colpito la salute di tante persone, ma anche provocato il deterioramento di condizioni sociali ed economiche già segnate da fragilità e instabilità”. Francesco nel suo discorso non poteva non considerare l’enorme sofferenza patita dal popolo iracheno negli scorsi decenni, a causa dei disastri provocati dalle guerre, dal flagello del terrorismo e dai conflitti settari “spesso basati su un fondamentalismo che non può accettare la pacifica coesistenza di vari gruppi etnici e religiosi, di idee e culture diverse. Tutto ciò – ha sottolineato il pontefice – ha portato morte, distruzione, macerie tuttora visibili, e non solo al livello materiale: i danni sono ancora più profondi se si pensa alle ferite dei cuori di tante persone e comunità, che avranno bisogno di anni e anni per guarire. E qui, tra i tanti che hanno sofferto, [il Papa ricorda] gli yazidi, vittime innocenti di insensata e disumana barbarie, perseguitati e uccisi a motivi della loro appartenenza religiosa, e la cui stessa identità e sopravvivenza è stata messa a rischio”. Tanti anni di guerre e sofferenze, di divisioni e incomprensioni hanno bisogno di una profonda cura fatta di coesistenza fraterna, di dialogo paziente e sincero. In questo senso è quanto mai urgente l’azione della comunità internazionale, al fine di aiutare le istituzioni irachene e la società civile a superare la crisi e a ricostruire oltre le macerie materiali e morali. Anche la religione deve fare la sua parte, a cominciare dal ripudio della violenza e dell’uso strumentale del nome di Dio: “La religione – ha dichiarato Papa Francesco nel suo discorso – per sua natura dev’essere al servizio della pace e della fratellanza. Il nome di Dio non può essere usato per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione”. Anche la logica armata deve fare un passo indietro: “Tacciano le armi! Se ne limiti la diffusione, qui e ovunque! Cessino gli interessi di parte, quegli interessi esterni che si disinteressano della popolazione locale. Si dia voce ai costruttori, agli artigiani della pace! Ai piccoli, ai poveri, alla gente semplice, che vuole vivere, lavorare, pregare in pace!”.